Videosorveglianza sul luogo di lavoro illegittima senza accordo sindacale

videosorveglianza sul luogo di lavoro

La videosorveglianza sui luoghi di lavoro deve sempre essere preceduta da un accordo con le rappresentanze sindacali. Il solo consenso del lavoratore, in qualsiasi forma prestato, non costituisce esimente della responsabilità penale del datore di lavoro. Cassazione, Sez. III, Sentenza 6 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1733

La Massima

a cura dell’avv. Andrea Diamante

L’installazione di un impianto di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori previo accordo scritto con i dipendenti non costituisce esimente della responsabilità penale, in quanto la contravvenzione di cui all’art. 4 L. 300/1970 è integrata in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, nonostante la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti idipendenti.

La Nota

a cura dell’avv. Eleonora Pedevillano

Entrando in contestazione la violazione dell’art. 4 della L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), per avere installato in un negozio un sistema di videosorveglianza in assenza di previo accordo con le rappresentanze sindacali, il titolare di un negozio ricorreva per la cassazione della sentenza di condanna alla pena di tremila euro di ammenda, adducendo la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato, in quanto il Tribunale non aveva tenuto conto della documentazione versata in atti dalla difesa ed in particolare dell’accordo formale autorizzativo dell’installazione dell’impianto sottoscritto dai suoi dipendenti.

Videosorveglianza sul luogo di lavoro: il consenso dei lavoratori non scrimina la condotta del datore di lavoro

La Sezione III, ha motivato il rigetto dell’impugnazione richiamando il più recente indirizzo di legittimità, secondo il quale l’installazione di sistemi di sorveglianza che, come nel caso in esame, consentono di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, integra la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 4 L. 300/1970, “anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti”.

Videosorveglianza sul luogo di lavoro: scongiurare il consenso viziato dei dipendenti

La ratio di questo ormai consolidato orientamento, espressa nella sentenza in argomento, risiede nella necessità di tutelare la posizione di debolezza del lavoratore subordinato rispetto alla indiscutibile maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore datore di lavoro.
La procedura codeterminativa che assegna esclusivamente alle rappresentanze sindacali o, in caso di mancato accordo con l’imprenditore, alla Direzione Territoriale del Lavoro, il potere di autorizzare l’installazione di apparecchiature di sorveglianza nei luoghi di lavoro, risponde pertanto alla esigenza di scongiurare che i lavoratori dipendenti possano, all’atto della assunzione, prestare un consenso viziato alla installazione dei sistemi di controllo, ritenendoli in qualche modo condizionanti l’assunzione.

 


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Cassazione, Sez. III, Sentenza 6 novembre 2019 – 17 gennaio 2020, n. 1733

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 30/4/2019, il Tribunale di Lanciano dichiarava D.G. colpevole della contravvenzione di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4, e lo condannava alla pena di tremila Euro di ammenda; allo stesso, quale datore di lavoro, era contestato di aver installato un sistema di videosorveglianza, idoneo a controllare l’attività dei dipendenti, in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali.

2. Propone ricorso per cassazione il D., a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico motivo – la mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Il Tribunale si sarebbe limitato ad una formale ed astratta affermazione di principi giurisprudenziali, senza esaminare la vicenda concreta e, in particolare, la documentazione versata in atti (nello specifico: l’accordo formale sottoscritto dal ricorrente ed i dipendenti nel luglio 2014; l’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento e prescrizione del dicembre 2014; le trascrizioni delle deposizioni rese dalle dipendenti nel corso del giudizio di primo grado). Questa censura concernerebbe anche il profilo soggettivo del reato, da escludere in ragione della piena condivisione – con i dipendenti, all’epoca – dell’installazione dell’impianto, volto soltanto a prevenire furti nel negozio; come confermato, peraltro, dalle dichiarazioni rese dagli stessi collaboratori ed allegate all’impugnazione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso risulta infondato.

Occorre premettere che la vicenda è emersa nel giudizio con caratteri del tutto pacifici, richiamati nella sentenza e non contestati dall’imputato; è acclarato, quindi, che il D. – datore di lavoro e titolare di un negozio – nel 2014 aveva installato un impianto di videosorveglianza in difetto delle condizioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 4, ma previo accordo scritto con i dipendenti.

4. Ebbene, come correttamente affermato dal Tribunale, tale accordo non costituisce esimente della responsabilità penale, dovendosi al riguardo richiamare il prevalente e più recente indirizzo di legittimità che ritiene che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 4 in esame sia integrata (con l’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, come nel caso di specie) anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti idipendenti (tra le altre, Sez. 3, n. 38882 del 10/4/2018, D., Rv. 274195; Sez. 3, n. 22148 del 31/01/2017, Zamponi, RV. 270507).

5. In particolare, secondo quanto prescritto dalla L. n. 300 del 1970, art. 4, l’installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) deve essere sempre preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicchè, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata. Questa procedura – frutto della scelta specifica di affidare l’assetto della regolamentazione di tali interessi alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico, con esclusione della possibilità che i lavoratori, uti singuli, possano autonomamente provvedere al riguardo – trova la sua ratio nella considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato. La diseguaglianza di fatto, e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile (a differenza di quanto ritenuto invece dalla Sez. 3, n. 22611 del 17/04/2012), potendo essere sostituita dall’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro solo nel solo di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, non già dal consenso dei singoli lavoratori, poichè, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione con cui accettano l’introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perchè ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l’assunzione.

6. Sì da concludersi, quindi, che il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, come nel caso di specie), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice; la doglianza del ricorrente sul punto, pertanto, risulta infondata.

7. Quanto precede, peraltro, senza che possa accedersi alla tesi difensiva in ragione della quale il Tribunale non avrebbe esaminato la documentazione prodotta dal D., limitandosi ad una astratta affermazione di principio; dalla lettura della sentenza, infatti, risulta che il preventivo accordo scritto tra datore di lavoro e dipendenti – confermato da questi ultimi in dibattimento e fulcro del ricorso – era stato ben valutato dal Giudice (al pari dell’istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento), il quale, tuttavia, lo aveva correttamente ritenuto irrilevante nell’ottica di cui alla rubrica, proprio in ragione delle considerazioni appena sopra espresse, qui da confermare.

8. L’impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata rigettata, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020.

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento scientifico di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.