Avvallamento sull’asfalto e velocità eccessiva: negato il risarcimento

avvallamento

Avvallamento sull’asfalto e velocità eccessiva: la velocità superiore a quella consentita è causa successiva da sola sufficiente a determinare l’evento, interrompendo il nesso di causalità. Cassazione, Sezione VI, Ordinanza 28 maggio 2020, n. 10004

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

Sinistro stradale e avvallamento sull’asfalto: risarcimento del danno

A seguito di un sinistro stradale, nelle rispettive qualità di proprietario e conducente del veicolo coinvolto, adivano il competente Tribunale chiedendo la condanna del Comune al risarcimento dei danni fisici e materiali patiti. Il conducente, percorrendo una via urbana, perdeva il controllo dell’automobile a causa della presenza di un avvallamento sull’asfalto, così finendo contro due alberi posti al margine della strada, riportando gravissimi danni.

Il Tribunale accoglieva la domanda ai sensi degli artt. 2051 e 2043 c.c. e, accertata la responsabilità del custode seppur in concorso colposo col conducente, condannava il Comune al ristoro dei danni subiti.

La pronuncia veniva impugnata dal Comune e la Corte di appello adita, in totale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva il gravame e condannava gli primigeni attori al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Dalla c.t.u. era infatti emerso che la vettura, prima di schiantarsi contro gli alberi, aveva lasciato delle lunghe tracce di frenatae e che la velocità era superiore a quella consentita. La Corte territoriale pertanto riteneva che il conducente avrebbe potuto arrestare la marcia del veicolo se avesse rispettato il limite di velocità imposto, nonostante la perdita del controllo riconducibile all’anomalia presente sulla strada.

Gli istanti ricorrevano per la cassazione della sentenza, lamentando la violazione e falsa applicazione di legge sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicazione dei principi in tema di obbligo di custodia nonché interpretato erroneamente  le conclusioni del C.t.u..

Sinistro stradale e avvallamento sull’asfalto: l‘eccesso di velocità esclude il nesso di causalità

La Corte, nel ritenere infondato il ricorso, ha in via preliminare ricordato che in tema di danno da cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c. spetta al danneggiato dimostrare l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità e il danno, rimanendo a carico del custode l’obbligo di dimostrazione del caso fortuito (ordinanze 22 dicembre 2017, n. 30775, 30 ottobre 2018, n. 27724, e 13 febbraio 2019, n. 4160).

La Corte ha ribadito che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Pertanto «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro».

Nel caso di specie, alla luce delle risultanze istruttorie, si è correttamente ritenuto che se il conducente avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile, nonostante la presenza dell’avvallamento, divenendo l’eccesso di velocità del conducente è stato ritenuto come una causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare l’evento, tale da interrompere il nesso di causalità tra l’avvallamento stradale e l’incidente (rectius nesso di causalità e danno).

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Cassazione, Sezione VI, Ordinanza 28 maggio 2020, n. 10004

FATTI DI CAUSA

1. Giovanni e Orazio Francesco Chiarenza, nelle rispettive qualità di proprietario e conducente del mezzo, convennero in giudizio il Comune di Catania, davanti al Tribunale di Catania, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni, fisici e materiali, riportati nel sinistro stradale nel quale Orazio Francesco Chiarenza, percorrendo una via urbana, aveva perso il controllo dell’automobile a causa della presenza di un avvallamento sull’asfalto, finendo contro due alberi posti al margine sinistro della semicarreggiata e riportandogravissimi danni.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda ai sensi degli artt. 2051 e 2043 cod. civ. e, accertata la responsabilità del custode ma anche la concorrente condotta colposa del conducente, condannò il Comune convenuto al pagamento della somma di euro 563.082 in

favore di Orazio Francesco Chiarenza e di euro 40.000 in favore del padre Giovanni Chiarenza, nonché al pagamento della metà delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dal Comune soccombente e la Corte d’appello di Catania, con sentenza dell’H gennaio 2018, ha accolto il gravame e, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda degli attori, condannandoli al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che, pacifica essendo la dinamica dell’incidente, dall’istruttoria era emerso che la vettura, prima di andare a schiantarsi contro gli alberi, aveva lasciato tracce di frenata della lunghezza di metri 31 con la ruota destra e metri 28,75 con la ruota sinistra e che non aveva gli pneumatici in condizioni di valida efficienza. Oltre a ciò, la Corte di merito ha rilevato che dall’espletata c.t.u. risultava che la vettura marciava alla velocità di 68-78 Kmh, superiore a quella consentita nel tratto stradale in questione e che, se il conducente avesse rispettato il limite di velocità di 50 kmh, avendo a disposizione uno spazio di frenata di trenta metri, avrebbe potuto liberamente arrestare il veicolo in tempo utile, anche in caso di perdita del controllo riconducibile all’anomalia presente sulla strada.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catania ricorrono Giovanni e Orazio Francesco Chiarenza con unico atto affidato a due motivi.

Resiste il Comune di Catania con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio,

sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2051 del codice civile. Rilevano i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe errato nell’applicazione dei principi in tema di obbligo di custodia perché, nel mentre ha analizzato il comportamento del conducente individuando la colpa dello stesso, nulla avrebbe detto sull’effettiva prevedibilità o Ric. 2018 n. 19973 sez. M3 – ud. 05-12-2019 imprevedibilità di tale comportamento, elemento rilevante ai fini dell’individuazione del caso fortuito.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2051 cod. civ., degli artt. 40 e 41 cod. pen. e dell’art. 142 del codice della strada.

Osservano i ricorrenti che la sentenza impugnata, interpretando in modo errato le conclusioni del c.t.u., non avrebbe considerato l’importanza decisiva, ai fini della determinazione del sinistro, della presenza di un avvallamento sul manto stradale, limitandosi ad esaminare la colpa del conducente e collegando alla medesima la responsabilità esclusiva dell’accaduto.

3. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione, sono privi di fondamento.

3.1. Rileva innanzitutto il Collegio che la costante giurisprudenza di questa Corte sull’art. 2051 cit. insegna che il danneggiato deve comunque dimostrare l’esistenza del fatto dannoso, il nesso di causalità e il danno, rimanendo a carico del custode l’obbligo di dimostrazione del caso fortuito (v., tra le altre, le ordinanze 22 dicembre 2017, n. 30775, 30 ottobre 2018, n. 27724, e 13 febbraio 2019, n. 4160).

Ciò premesso, giova ricordare che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 10 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

È stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l’espressione “fatto colposo” che compare nell’art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all’elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l’imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza.

3.2. Nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, per cui la sentenza impugnata resiste alle censure proposte. La pronuncia in esame, infatti, ha compiuto una valutazione complessiva delle prove ed ha ritenuto, come si è detto, che, se il conducente avesse rispettato il limite di velocità, avrebbe avuto la possibilità di arrestare la vettura in tempo utile, nonostante la presenza dell’avvallamento. Ne deriva, in sostanza, che l’eccesso di velocità del conducente è stato ritenuto dalla Corte d’appello, con un accertamento in fatto non suscettibile di modifica o riesame in questa sede, come una causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare l’evento; il che equivale a dire che l’eccesso di velocità ha interrotto il nesso di causalità tra l’avvallamento stradale e l’incidente (v. anche le ordinanze 30 ottobre 2018, n. 27724, e 29 gennaio 2019, n. 2345). Va poi aggiunto, ad abundantiam, che non risulta sia stato in alcun modo prospettato, in sede di merito, che l’avvallamento in questione fosse presente già da un tempo sufficiente a rendere ragionevole il doveroso intervento di manutenzione da parte del custode.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione degli esiti alterni dei giudizi di merito, la Corte stima equo disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione

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L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica