Inammissibile il ricorso per Cassazione incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma

Inammissibile il ricorso per Cassazione incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma

Inammissibile il ricorso per Cassazione incoerente nei contenuti  ed oscuro nella forma. La coerenza di contenuti e la chiarezza di forma costituiscono l’imprescindibile presupposto perchè un ricorso per cassazione possa essere esaminato e deciso. – Cassazione, Sezione VI civile, Ordinanza 28 novembre 2019 – 28 maggio 2020, n. 9996

La Nota

a cura dell’avv. Eleonora Pedevillano

Ricorso per cassazione: inammissibili motivi farraginosi e incoerenti

Un avvocato ingiungeva ad una società il pagamento di compensi professionali. Quest’ultima instaurava un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proponendo un ricorso ove non indicava né le ragioni dell’opposizione nè le difese avverso di esse svolte in primo grado. Nelle more del giudizio, la società veniva dichiarata fallita, pertanto lo stesso veniva interrotto e poi riassunto dalla curatela, per concludersi con la dichiarazione di improcedibilità della domanda proposta in via monitoria nei confronti del fallimento, e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo. L’appello dell’opposto veniva dichiarato inammissibile per genericità, ex art. 342 c.p.c..

L’avvocato presentava quindi ricorso per Cassazione affidando le sue ragioni ad undici motivi di ricorso, tutti dichiarati inammissibili in ragione della «irresolubile farraginosità dell’esposizione dei fatti processuali e delle censure» e perché «nulla hanno a che vedere con il contenuto decisorio della sentenza impugnata», ad eccezione del nono motivo che veniva dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c., stante che la ricorrente si duole del giudizio di genericità del gravame formulato dalla Corte d’appello, senza però riassumere nè trascrive nel ricorso per Cassazione i termini in cui il proprio atto d’appello era stato formulato.

Ricorso per cassazione: necessarie coerenza dei contenuti e chiarezza di forma

L’adita Corte nell’analizzare l’atto di parte ricorrente, rilevava che lo stesso tacesse sulle ragioni poste a fondamento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, quelle di contrasto all’opposizione, sui motivi di appello, che contiene riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere e rinviava genericamente a fatti ed orientamenti giurisprudenziali di legittimità.

Con riferimento al ricorso che si fonda su atti processuali, la Corte ha ribadito l’onere del ricorrente di «indicarli in modo specifico» nel ricorso, a pena di inammissibilità ex art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., dove per «indicarli in modo specifico» si intende, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 dei 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011), trascriverne il contenuto oppure riassumerlo in modo esaustivo, indicare in quale fase processuale siano stati prodotti ed indicare a quale fascicolo siano allegati e con quale indicizzazione.

Ad avviso degli Ermellini, un ricorso per Cassazione che si presenta incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma deve essere rigettato, enunciando il principio di diritto per cui «coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l’imprescindibile presupposto perchè un ricorso per cassazione possa essere esaminato e deciso».

All’uopo, la Corte ha offerto riferimenti normativi, anche internazionali, che orientano in tal senso le tecniche di redazione degli atti processuali. In particolare:

– l’art. 3, co. 2, Cpa (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) impone alle parti di redigere gli atti «in maniera chiara e sintetica»;

– il par. 14, lett. “A”, della Guida per gli avvocati approvata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che «una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto»;

– la Rule 8, lett. (a), n. 2, delle Federal Rules of civil Procedures statunitensi impone al ricorrente «una breve e semplice esposizione della domanda» (regola applicata così rigorosamente, in quell’ordinamento, che nel caso Stanard v. Nygren, 19.9.2011, n. 091487, la Corte d’appello del VIII Circuito U.S.A. ritenne inammissibile per lack of punctuation un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto «troppo confuso per stabilire i fatti allegati»).

 

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Cassazione, Sezione VI, Ordinanza 28 novembre 2019 – 28 maggio 2020, n. 9996

Svolgimento del processo

L’esposizione dei fatti di causa sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.

Nel 2009 M.M., avvocato, chiese ed ottenne dal Tribunale di Cassino un decreto ingiuntivo nei confronti di R.G., sia in proprio che quale amministratore della società GNT di R. & C s.a.s., decreto avente ad oggetto il pagamento di compensi professionali.

R.G. propose opposizione al decreto ingiuntivo.

Il ricorso non indica nè le ragioni dell’opposizione, nè le difese avverso di esse svolte in primo grado, limitandosi a riferire che le une e le altre debbono “aversi qui per trascritte” (così il ricorso, p. 4, 5 8).

Nel corso del giudizio di opposizione l’opponente venne dichiarato fallito, ed il giudizio interrotto. Il processo di opposizione al decreto ingiuntivo venne riassunto dalla curatela fallimentare.
Con sentenza 7.10.2013 il Tribunale di Cassino dichiarò improcedibile la domanda proposta in via monitoria da M.M. nei confronti del fallimento, e revocò il decreto ingiuntivo.

La Corte d’appello di Roma, adita da M.M., con sentenza 19.10.2017 dichiarò inammissibile l’appello per genericità, ex art. 342 c.p.c..

La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.M. con ricorso fondato su undici motivi.

Le parti intimate non si sono difese.

Motivi della decisione

Tutti i motivi di ricorso, ad eccezione del nono, sono inammissibili per due indipendenti ragioni.

La prima ragione è la irresolubile farraginosità dell’esposizione dei fatti processuali e delle censure.

Il ricorso oggi in esame, infatti: tace circostanze rilevanti, quali le ragioni poste a fondamento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, quelle di contrasto all’opposizione, ed i motivi di appello, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3; contiene riferimenti a fatti o circostanze introdotti nella narrazione, ma inesplicati:  b’) così a p. 3, ove si fa cenno al “citato errore materiale”, di cui si ignora la natura; b”) così a p. 4, ove si dichiarano “da aversi qui per trascritte” le ragioni poste dall’opponente a fondamento dell’opposizione; b”’) così, ancora, a p. 4, ove si fa riferimento “al presente preverbale” (lemma, quest’ultimo, ignoto a questa Corte); b””) così a p. 5, ove si fa riferimento “alla costante giurisprudenza di legittimità che qui si abbia per integralmente trascritta; b””’) così, ancora, a p. 5, ove si fa riferimento a quanto dichiarato da “l’avv. Gabriele Leone nell’atto di citazione con querela di falso”, vicenda altrimenti ignota; contiene riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere (le modalità dell’esecuzione iniziata sulla base del decreto opposto; la scansione delle udienze fissate dal giudice di primo grado; il numero identificativo delle raccomandate inviate al cliente).

Un ricorso così concepito appare incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma. Ma coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l’imprescindibile presupposto perchè un ricorso per cassazione possa essere esaminato e deciso. E ciò non solo per il nostro ordinamento, ma in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati: basterà ricordare a tal riguardo, excerpta multorum, l’art. 3 codice del processo amministrativo, comma 2 (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale impone alle parti di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”; il par. 14, lett. “A”, della Guida per gli avvocati” approvata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ove si prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che “una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto”; o la Rule 8, lett. (a), n. 2, delle Federal Rules of civil Procedures statunitensi, la quale impone al ricorrente “una breve e semplice esposizione della domanda” (regola applicata così rigorosamente, in quell’ordinamento, che nel caso Stanard v. Nygren, 19.9.2011, n. 091487, la Corte d’appello del VIII Circuito U.S.A. ritenne inammissibile per lack of punctuation un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto “troppo confuso per stabilire i fatti allegati” dal ricorrente).

In secondo luogo, i motivi di ricorso diversi dal nono sono altresì inammissibili perchè, per quanto è dato comprendere dalla confusa esposizione dei fatti già rilevata, essi sono estranei alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

La Corte d’appello di Roma ha dichiarato l’appello di M.M. inammissibili per genericità, sicchè solo di questa statuizione si può in questa sede discutere se sia corretta o scorretta.

La ricorrente, invece, disquisisce sulla validità della procura di controparte (primo e secondo motivo); sulla procedibilità del giudizio nei confronti del fallito (terzo motivo); sulla regolarità dell’istruttoria svolta in primo grado (quarto motivo); sulla regolare riassunzione del giudizio di primo grado (quinto motivo); sulla regolarità della notifica non si sa bene di quale atto (sesto e ottavo motivo); sulla valutazione delle prove (settimo e decimo motivo); sul rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato (undicesimo motivo).

Le censure suddette nulla hanno a che vedere con il contenuto decisorio della sentenza impugnata, e sono pertanto inammissibili.

Col nono motivo la ricorrente lamenta “la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3” in relazione all’art. 342 c.p.c..

L’illustrazione del motivo, che occupa meno di un foglio, è così concepita:

-) nelle prime diciassette righe viene trascritto il contenuto dell’art. 342 c.p.c., ed alcune affermazioni generali circa la natura dell’appello; -) alle righe 18 e 19 si afferma che “l’avvocato
M.M. ha prodotto ex novo i documenti già depositati per accertare la fondatezza (non si sa di cosa);

-) dal ventiduesimo al ventiseiesimo rigo si dichiara di voler censurare la sentenza d’appello perchè “ove fosse stata riscontrata l’insussistena della aspecificità dei motivi, avrebbe dovuto dichiarare
l’inammissibilità”;

-) l’illustrazione del motivo si conclude con l’affermazione che la Corte d’appello avrebbe omesso di “rilevare e accertare il credito già richiesto prima del fallimento”.

Orbene, anche ad ammettere che un testo col contenuto sopra riassunto possa qualificarsi come “motivo di ricorso per cassazione”, del che fortemente questo Collegio dubita, quel che rileva è che la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

La ricorrente infatti si duole del giudizio di genericità del gravame formulato dalla Corte d’appello, ma nè riassume, ne trascrive, i termini in cui il proprio atto d’appello era stato formulato.

Tuttavia denunciare l’erroneità del giudizio di genericità dell’appello è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sull’atto della cui erronea qualificazione la ricorrente si duole, e cioè l’atto d’appello.

Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 dei 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, richiesti come s’è detto a pena di inammissibilità, la ricorrente non ne ha assolto alcuno.

Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020.

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L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento scientifico di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.