Alta conflittualità: no all’affidamento condiviso dei figli

La forte conflittualità tra i genitori non coniugati esclude il ricorso al regime dell’affidamento condiviso quando è tale da alterare e porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli. Cassazione, Sez. I, Ordinanza 28 febbraio 2020, n. 5604.

La Massima

a cura dell’avv. Andrea Diamante

La mera conflittualità riscontrata tra i genitori, che vivono separati, non preclude di regola il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso dei figli, ove tale conflittualità si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole. La totale conflittualità esistente tra i genitori può invece assumere connotati ostativi all’applicazione dell’affidamento condiviso, ove si traduca in forme atte a pregiudicare l’interesse dei figli, alterandone e mettendone in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico (quali il tentativo di ciascun genitore di delegittimare la figura dell’altro, il rifiuto persistente di sottoporsi ad un percorso di mediazione, la sofferenza ingenerata nel minore che non sa cosa fare).

La Nota

a cura dell’avv. Eleonora Pedevillano

Con ordinanza n. 5604/2020, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito capitolini di rigetto della domanda di affidamento condiviso del minore nato da una relazione more uxorio caratterizzata da un’alta conflittualità, tale da escludere la capacità genitoriale della coppia.

Affidamento condiviso come regime preferenziale quando la conflittualità si mantiene nei limiti di un tollerabile disagio per la prole

Il ricorrente, padre di un minore nato da una relazione more uxorio altamente conflittuale, adiva la Corte di Cassazione per chiedere l’annullamento del decreto con il quale la Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione del giudice di prime cure, aveva rigettato la sua domanda di affidamento condiviso del figlio minore e confermato la sospensione della responsabilità genitoriale nonché tutte le altre statuizioni di natura economica. 

In particolare, con il secondo motivo di ricorso, il padre si doleva del fatto che la Corte d’Appello non aveva tenuto in considerazione che il conflitto tra i genitori era stato determinato dal trasferimento della madre da Milano – dove viveva con il compagno – a Roma. In tal modo, si sarebbero creati, per il minore, due ambiti affettivi che escludevano la possibilità di un pieno esercizio della bigenitorialità, in contrasto con quanto previsto dall’art. 337-ter, co. 1, c.c..

A tal proposito, la Cassazione, ha rilevato come, in linea di principio, la mera conflittualità riscontrata tra i genitori non coniugati, che vivono separati, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si traduca in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse.

L’alta conflittualità tra i genitori esclude l’affidamento condiviso

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, entrambi i genitori si erano rivelati immaturi a tal punto da essere stati considerati “incapaci di elaborare il lutto del fallimento del progetto di coppia per rapportarsi responsabilmente alla genitorialità“, nonché di avere un minimo dialogo nell’interesse superiore del minore, ossia di concordare alcunché “senza il ricorso ad avvocati ed autorità giudiziaria”.

Pertanto, stante la totale conflittualità esistente tra i genitori, correttamente la Corte d’Appello aveva disposto l’affidamento del minore al Comune della capitale, con la nomina del Sindaco pro tempore quale tutore provvisorio, nell’attesa che la situazione dei genitori venisse ulteriormente monitorata, ai fini di stabilirne l’effettiva adeguatezza in concreto, allo stato ancora del tutto esclusa dal giudice di merito.


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Cassazione, Ordinanza 28 febbraio 2020, n. 5604

Svolgimento del processo

1. Con decreto depositato in data 1:3 dicembre 2016, il Tribunale di Roma rigettava la domanda di affidamento condiviso del minore P.T.J. – nato dalla relazione more uxorio tra P.M. e Pa.Mi. ed affidato al Comune di Roma, con decreto della Corte d’appello di Roma dell’11 ottobre 2013 -, avanzata dal padre, confermava la sospensione della responsabilità genitoriale, disposta dal Tribunale per i minorenni di Roma con decreto del 6 maggio 2016, e determinava in Euro 650,00 il contributo mensile dovuto dal P. per il mantenimento del minore, ponendo le spese straordinarie a carico di entrambi i genitori al 50%.

2. La Corte d’appello di Roma, con decreto n. 584/2018, depositato il 7 marzo 2018, rigettava il reclamo principale proposto da Pa.Mi., diretto ad ottenere un incremento dell’assegno di mantenimento, nonchè il reclamo incidentale proposto da P.M., con il quale il medesimo richiedeva l’affido condiviso del minore ed una diminuzione – nel caso fosse stata mantenuta la situazione attuale di affidamento al Comune di Roma – dell’assegno di mantenimento a suo carico. Il giudice del gravame riteneva che l’elevata conflittualità – non attenuatasi nel tempo – tra i due genitori escludesse in radice la possibilità di un affido condiviso del minore e che, quanto agli aspetti economici, fosse corretta la determinazione dell’assegno di mantenimento in Euro 650,00 mensili, stabilita dal Tribunale di Roma. La Corte – accertato l’inadempimento parziale dell’obbligo di corresponsione dell’assegno – disponeva inoltre, ai sensi dell’art. 156 c.c., che il datore di lavoro del P. provvedesse a versare direttamente alla Pa. il contributo per il mantenimento del figlio.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso P.M. nei confronti di Pa.Mi., affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 380 bis. 1. c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, P.M. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 147, 148, 316 bis e 337 ter c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
1.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello abbia ritenuto di confermare – peraltro con motivazione apparente, e senza esaminare alcuni fatti decisivi per il giudizio – la quantificazione dell’assegno, a favore del figlio, in Euro 650,00 operata dal Tribunale, senza tenere conto dell’effettiva situazione patrimoniale di entrambi i genitori ed, in particolare, senza compiere le indagini patrimoniali, richieste dall’Iistante, sulla situazione reddituale della madre, titolare di beni immobili dai quali percepirebbe cospicue rendite. La Corte avrebbe, poi, confermato la misura dell’assegno, sebbene avesse accertato che la Pa. non si era attivata per trovare un’attività lavorativa, pur avendone le capacità ed essendo ancora giovane di età.

1.2. Anche il provvedimento ex art. 156 c.c., disposto nei confronti del datore di lavoro di P.M. sarebbe, pertanto, “illegittimo e gravatorio”, non essendosi il medesimo reso totalmente inadempiente, ma avendo operato soltanto una riduzione dell’assegno, da Euro 650,00 ad Euro 400,00, per cinque mesi, per la “difficile e grave situazione economica in cui il ricorrente versava e in cui si trova tutt’ora”.
1.3. Il motivo è inammissibile.

1.3.1. Va osservato che, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass., 01/03/2018, n. 4811; Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 19/03/2013) 10/07/2013, n. 17089).

1.3.2. A siffatti principi si è attenuto il giudice di appello, nel caso di specie, avendo la Corte confermato la misura dell’assegno stabilita dal Tribunale sulla base dell’esame del reddito di entrambi i genitori e delle esigenze del minore. La Corte ha, invero, accertato, in fatto, che il reddito del P. aveva avuto un leggero incremento, laddove quello della Pa. era rimasto pressochè alterato; il che avrebbe dovuto indurre al ripristino dell’assegno di Euro 1.000,00, fissato dal Tribunale per i minorenni di Milano – in un primo procedimento – con decreto del 20 dicembre 2012. E tuttavia, la Corte ha escluso tale aumento dell’assegno – richiesto dalla Pa. nel giudizio di gravame – in considerazione: a) della circostanza sopravvenuta costituita dalla riduzione della spesa per l’asilo nido, pari ad Euro 465,00 mensili; b) dei costi cui va incontro il P., per effetto dell’intervenuto trasferimento del minore a Roma; c) del fatto che “non sono state documentate particolari esigenze del minore che richiedano esborsi superiori a quelli normalmente apprezzabile per bambini della sua età”; d) dell’ulteriore circostanza sopravvenuta, costituita dalla colpevole inoccupazione della Pa., ovverosia dalla sua inerzia nel reperire un’attività lavorativa, certamente non più giustificabile a distanza di anni dal suo trasferimento da Milano – ove la medesima svolgeva un’attività lavorativa – a Roma.

La considerazione degli elementi suesposti ha, pertanto, indotto la Corte territoriale a confermare motivatamente l’importo dell’assegn0 fissato, in primo grado, nella somma di Euro 650,00. Il denunciato difetto assoluto di motivazione non può, pertanto, ritenersi sussistente.
1.3.3. Nè rileva, al riguardo, neppure il mancato accoglimento dell’istanza di indagini patrimoniali, avanzata dall’odierno ricorrente, non potendo revocarsi in dubbio che tali indagini – stante il tenore della norma di cui all’art. 337 ter c.c., secondo cui esse sono disposte “ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate – sono rimesse alla valutazione discrezionale del giudice di merito, all’esito dell’esame delle risultanze probatorie acquisite agli atti (Cass., 21/05/2002, n. 7435, con riferimento all’analoga disposizione di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9).

Nella specie, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla mancata disposizione di tali indagini, “attesa la finalità esclusivamente esplorativa non avendo il resistente offerto alcun concreto elemento neanche in forma d, mera allegazione argomentativa in ordine all’esistenza di eventuali fonti occulte di reddito della reclamante”. E tale statuizione non è stata neppure specificamente impugnata dal ricorrente.

1.3.4. A fronte delle suesposte, motivate, conclusioni della Corte d’appello la censura si risolve, sostanzialmente, in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda processuale, certamente inammissibile in questa sede. Con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 16/11/2017) 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

1.3.5. Per quanto concerne, infine, l’ordine impartito al datore di lavoro del P., di pagare direttamente l’assegno di mantenimento per il figlio minore alla Pa., va osservato che l’art. 156 c.c., comma 6, nell’attribuire al giudice, in caso d’inadempimento dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che implica esclusivamente un apprezzamento in ordine all’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, a frustrare le finalità proprie dell’assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass., 19/05/2011, n. 11062; Cass., 06/11/2006, n. 23668).

Nel caso concreto, il decreto impugnato ha congruamente motivato l’emissione del provvedimento, ancorandola al presupposto normativo dell’inadempimento, sia pure parziale, ammesso dallo stesso obbligato, nel giudizio di appello ed anche nel presente giudizio di legittimità (ricorso, p. 22). Sicchè la relativa statuizione non può essere riesaminata in questa sede.

1.4. Per le ragioni esposte, il mezzo va, pertanto, disatteso.

2. Con il secondo motivo di ricorso, P.M. denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 337 ter c.c., e art. 8 della CEDU, nonchè il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

2.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che il conflitto tra i genitori era stato determinato dal trasferimento della madre da Milano – dove viveva con il compagno – a Roma, con la conseguenza di creare, per il piccolo T. due ambiti affettivi, senza possibilità di un pieno esercizio della bigenitorialità, garantita al minore dall’art. 337 ter c.c., comma 1. Con le conseguenza che tutte le scelte di vita del minore sarebbero state demandate alla sola madre, senza che il padre possa influire, in concreto, sulle stesse, laddove a tale esigenza potrebbe ovviare un affidamento condiviso, con collocazione del minore presso il genitore ritenuto più idoneo.

2.2. Il provvedimento impugnato sarebbe, poi, del tutto privo di motivazione, non avendo il giudice del gravame ritenuto neppure di ammettere la chiesta c.t.u. psicologica sui genitori e sul minore,,ecl al fine di monitorare le “condotte materne dirette a marginalizzare la figura genitoriale del padre.

2.3. La censura è inammissibile.

2.3.1. La mera conflittualità riscontrata tra i genitori non coniugati, che vivono separati, non preclude – in via di principio – il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso dei figli ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si traduca in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse (Cass., 06/03/2019, n. 6535; Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 23/02/2012) 29/03/2012, n. 5108).

2.3.2. Nel caso concreto, la Corte d’appello ha reso sul punto un’ampia e logica motivazione dalla quale è emerso, quanto alla capacità genitoriale della coppia P.- Pa., un quadro assolutamente desolante, essendosi rivelati entrambi – per la loro palese immaturità – “incapaci di elaborare il lutto del fallimento del progetto di coppia per rapportarsi responsabilmente alla genitorialità” (p. 5), nonchè di avere un minimo dialogo nell’interesse superiore del minore, ossia di concordare alcunchè “senza il ricorso ad avvocati ed autorità giudiziaria”.

La totale conflittualità esistente tra li genitori – posta in luce dalle relazioni dei Servizi sociali del Comune di Roma – il tentativo di ciascuno di essi di delegittimare la figura dell’altro, il rifiuto persistente di sottoporsi ad un percorso di mediazione, la sofferenza ingenerata nel minore, che non sa cosa fare e la cui aspirazione sarebbe che “la mamma ed il papà facessero pace”, hanno motivatamente indotto la Corte a confermare l’affidamento disposto dalla Corte d’appello di Roma con provvedimento dell’11 ottobre 2013 – del minore al Comune della capitale, con la nomina del Sindaco pro tempore quale tutore provvisorio del piccolo T.. A quest’ultimo è stato, altresì, offerto un supporto psicologico di sostegno, nell’attesa che la situazione dei genitori venga ulteriormente monitorata, ai fini di stabilirne l’effettiva adeguatezza in concreto, allo stato del tutto esclusa dal giudice di merito.

2.3.3. A fronte di tali motivate conclusioni, la doglianza si concreta, per contro, in un tentativo di rivisitazione del merito, certamente inammissibile in questa sede.

2.3.4. E neppure la Corte era affatto obbligata a disporre – come sembra adombrare il ricorrente – avendo agli atti le relazioni dei Servizi sociali, dalle quali ha tratto adeguati elementi di valutazione circa la situazione del minore e dei genitori, la consulenza tecnica psicologica richiesta dal P., rientrando la nomina di un consulente tecnico nella valutazione discrezionale del giudice di merito (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (data ud. 08/01/2015) 02/03/2015, n. 4185; Cass., 05/07/2007, n. 15219).

2.3.5. Quanto al mutamento di residenza della madre – che non è affidataria, bensì mera collocataria del minore – tale circostanza non fa perdere alla stessa nè il diritto all’affidamento, ove esistente, nè la qualità di collocataria del minore, dovendo il giudice esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario (Cass., 14/09/2016, n. 18087; Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 03/02/2015) 12/05/2015, n. 9633). Peraltro, la censura è altresì del tutto generica sul punto, non avendo l’istante allegato concreti elementi in ipotesi dedotti nel giudizio di merito – dai quali possa dedursi un’effettiva situazione di disagio del minore per effetto del trasferimento da Milano a Roma.

2.4. Il motivo, poichè inammissibile, va, pertanto disatteso.

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge, con attribuzione ai difensore dichiaratosi antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento scientifico di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.