Rimuove la barriera protettiva dal letto ospedaliero per far scendere il marito che cade e muore: è omicidio colposo

Risponde di omicidio colposo chi, incurante dei divieti imposti dai sanitari, fa deambulare il degente il quale muore a seguito di una caduta. Cassazione, Sezione IV penale, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 11536.

La Massima

A cura dell’avv. Andrea Diamante

Risponde di omicidio colposo per imprudenza e negligenza chi consente ad una persona ricoverato in ospedale di scendere dal letto per andare in bagno, nonostante l’ammonimento dato dai sanitari di non abbassare le sbarre di protezione del letto e di non farlo scendere per nessuna ragione, posto che per qualsiasi esigenza ben avrebbe potuto chiedere e pretendere l’assistenza del personale infermieristico di turno. In una siffatta ipotesi, non interrompe il nesso di causalità dell’evento morte la successiva cattiva risposta medica rispetto alla condotta colposa dell’agente in quanto essa non può costituire una nuova causa autonoma dell’evento.

A cura dell’avv. Andrea Savoca

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

Condotta dell’agente e successiva condotta del personale sanitario: quali condizioni per ritenere interrotto il nesso di causalità rispetto all’evento morte?

All’esito dei due gradi di giudizio, veniva ritenuta responsabile del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. dell’anziano marito, per aver tenuto una condotta negligente, imprudente ed aver violato le tassative indicazioni impartitele dal personale sanitario.

Segnatamente, si contestava all’imputata di aver fatto scendere il marito dal letto ospedaliero per recarsi in bagno dopo aver rimosso la barriera protettiva ivi posta, contravvenendo a quanto prescrittole e senza richiedere la necessaria assistenza, con ciò causando la caduta rovinosa per terra della persona offesa con la quale si procurava una grave frattura da cui derivava una gravissima emorragia interna che ne determinava il decesso.

L’imputata proponeva ricorso per Cassazione deducendo anche violazione di legge e vizio di motivazione, per avere, la Corte di appello, omesso di considerare che, le pluralità delle condotte omissive e negligenti di tutto il personale sanitario, ontologicamente diverse e cronologicamente successive alla caduta, erano idonee ad interrompere il nesso di causalità rispetto alla pregressa condotta della ricorrente.

La condotta sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso causale deve innescare un rischio nuovo rispetto a quello determinato dall’agente.

La Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha ritenuto l’iter argomentativo della sentenza impugnata privo di vizi logico-giuridici, proprio nella parte relativa alla dichiarata insussistenza di una interruzione del nesso causale asseritamente realizzatasi in ragione della paventata condotta colposa del personale sanitario.

Richiamando invero il criterio condizionalistico generalmente riconosciuto in ambito penale come condicio sine qua non, la Corte territoriale ha correttamente affermato che la causa sopravvenuta idonea ad escludere il nesso causale (riconducibile alla condotta colposa dell’imputata) deve innescare un rischio nuovo, radicalmente esorbitante rispetto a quello determinato dall’agente (Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019).

Ritenuto nel caso di specie che la sequenza causale ha avuto inizio proprio a seguito del comportamento colposo dell’imputata, la successiva e “cattiva” risposta medica, non può costituire causa autonoma dell’evento (rectius, rischio nuovo), in quanto conseguente alla primigenia condotta (induzione colposa alla caduta della persona offesa).

Definitivamente pronunciandosi, la Corte ha rigettato lo specifico motivo di ricorso e confermato pertanto la penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato contestatole, non potendosi ritenere interrotto il nesso causale. Si è infatti affermato che è stata la ricorrente a determinare (colposamente) un rischio (caduta e frattura) da cui è conseguito l’evento (emorragia e morte), rispetto al quale l’operato dei medici ha avuto al più un ruolo concausale, trattandosi di un’unica sequenza causale che ha comportato l’evoluzione (in senso peggiorativo) del medesimo rischio.


L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica