La complessa questione della natura giuridica della concessione amministrativa

La natura giuridica della concessione amministrativa, tra impostazione pubblicistica e  privatistica

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Introduzione – 1. La definizione di provvedimento amministrativo – 2. Le caratteristiche del provvedimento amministrativo – 2.1 La tipicità – 2.2 L’unilateralità – 2.3 L’imperatività – 2.4 L’efficacia – 2.5 L’esecutorietà – 2.6 L’inoppugnabilità – 3. La complessa natura giuridica della concessione amministrativa – 4. Dai problemi sulla natura giuridica ai problemi sulla giurisdizione

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Introduzione

Le concessioni amministrative animano, storicamente, il dibattito giuridico nazionale.

Dottrina e giurisprudenza, infatti, hanno a lungo riflettuto circa la loro natura giuridica, oscillando costantemente tra un’impostazione pubblicistica e privatistica e determinando uno sviluppo arzigogolato dell’istituto, complicato ulteriormente dall’intervento del diritto europeo, che, partendo da differenti considerazioni, ha arrecato, in Italia, notevoli problemi di natura interpretativa derivanti dal sostrato giuridico preesistente.

Inevitabilmente, per potersi ben districare in tale mare magnum, risulta fondamentale all’operatore giuridico ricorrere alla definizione di provvedimento amministrativo e analizzare le sue singole caratteristiche, onde rintracciarle in seno all’istituto concessorio e compiere, dunque, una più accurata e puntuale analisi dello stesso. Invero, dalle seppur brevi riflessioni che qui vogliono condursi su tale istituto, è tangibile quanto sia d’aiuto all’operatore del diritto riflettere sulla definizione di provvedimento amministrativo, pur se con la consapevolezza dell’impossibilità di preconferzionarla in maniera universale, e quanto, invece, risultino essere utili a tal fine le caratteristiche di seguito accennate prima di passare alla problematica oggetto del contributo.

 1. La definizione di provvedimento amministrativo

La nozione di provvedimento amministrativo risponde alla necessità di individuare, nel novero degli atti delle pubbliche amministrazioni, quelli per così dire “tipici”, ovvero gli atti attraverso i quali ogni pubblica amministrazione esplica le diverse funzioni amministrative ad esse spettanti.

Occorre, infatti, rammentare che lo svolgimento delle cd. funzioni amministrative, ovvero i fini che la legge impone ad ogni pubblica amministrazione di perseguire al fine di soddisfare concretamente gli interessi dei cittadini, è strettamente connesso al potere amministrativo, quel potere di cui essa è titolare e che concerne l’emanazione di atti unilaterali dotati di effetti giuridici, anche nei confronti di terzi, che normalmente sono preceduti da una serie di atti ed attività, loro propedeutici, e che confluiscono nel procedimento amministrativo.

In verità, nell’ordinamento italiano, il provvedimento amministrativo non è mai stato oggetto di definizione legislativa, né di organica disciplina circa le sue caratteristiche strutturali e funzionali.

Tale carenza normativa non si traduce soltanto in una incertezza teorica in ordine alla sua definizione, ma travalica in una confusione  pratica, giacché non sempre risulta agevole la qualificazione di un atto quale provvedimento amministrativo.

La questione non è di scarsa rilevanza dal momento che dalla sua risoluzione, in senso positivo o negativo, dipende l’applicabilità ad un dato atto della disciplina legislativa del procedimento amministrativo, la possibilità di ricorrere dinnanzi al giudice amministrativo, e così via dicendo.

Tuttavia, con ogni probabilità, l’elaborazione di una definizione legislativa preconfezionata di provvedimento amministrativo sarebbe difficilmente strutturabile per il semplice fatto che gli atti normalmente inclusi in tale categoria sono soggetti ad una serie di regole, alcune delle quali poste dal Legislatore, altre dalla giurisprudenza, e ciascuna di queste regole ha un differente campo di applicazione.

A ragion del vero, però, secondo una definizione dottrinale accreditata (M. S. Giannini), il provvedimento amministrativo corrisponde all’atto con cui l’autorità amministrativa dispone in un caso concreto in ordine all’interesse pubblico che è affidato alla sua tutela, esercitando una potestà amministrativa ed incidendo sulle situazioni giuridiche di privati.

Stanti tali premesse, la dottrina ha focalizzato la propria attenzione, nel tempo, sulle caratteristiche che, in linea di massima e seppur con diversa intensità, il provvedimento amministrativo presenterebbe.

Un notevole passo avanti dal punto di vista legislativo è stato, ad ogni modo, compiuto con la legge n. 241/1990, dedicata al procedimento amministrativo ed innovata nel 2005 attraverso l’introduzione del Capo IV-bis, con la legge 11 febbraio 2005 n. 15. Tale novella legislativa disciplina, oggi, numerosi aspetti del regime del provvedimento amministrativo, quali l’efficacia, l’invalidità, la revoca e l’annullamento d’ufficio.

2. Le caratteristiche del provvedimento amministrativo

2.1 La tipicità

Passando a considerare il regime ed i caratteri del provvedimento amministrativo, va anzitutto richiamata la tipicità, corollario del principio di legalità.

La pubblica amministrazione, infatti, persegue esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento del potere e può utilizzare, a tal fine, soltanto lo strumento giuridico definito dalla medesima norma. In tal senso, si fa talvolta riferimento alla nominatività dei provvedimenti amministrativi per rimarcare ulteriormente il concetto secondo cui l’amministrazione può emanare soltanto i provvedimenti ai quali la legge fa espresso riferimento.

2.2 L’unilateralità

Al fine di definire la caratteristica dell’unilateralità è necessario fare un richiamo, pur se breve, al già citato potere amministrativo, che è unilaterale e che si traduce nella dichiarazione di volontà di una sola parte, l’Amministrazione, che confluisce in seno ad un provvedimento amministrativo e che è idonea a produrre una qualsiasi modificazione giuridica. Esemplificando, si potrebbe affermare che il provvedimento amministrativo, per esistere, non necessità della volontà di altri soggetti, al di fuori della pubblica amministrazione che lo emana.

Tale caratteristica permane nel provvedimento e sussiste anche in tutti quei casi in cui il contenuto discrezionale del provvedimento amministrativo sia il frutto di un accordo con gli eventuali privati interessati, dal momento che l’atto amministrativo, attraverso cui detto accordo viene recepito dall’Amministrazione, rimane soggetto al tipico regime del provvedimento, ex art. 11 l. 241/1990 (Cass., sez. I, 15 aprile 1992, n. 4572).

2.3 L’imperatività

La caratteristica dell’unilateralità è funzionalmente connessa all’imperatività o autoritarietà e rappresenta il presupposto a che il provvedimento possa immediatamente produrre effetti giuridici nei confronti dei destinatari.

Nello specifico, l’imperatività, o autoritarietà, del provvedimento amministrativo positivo concerne l’immediata idoneità di quest’ultimo ad esplicare i suoi effetti nei confronti dei soggetti cui esso è diretto e, quindi, ad incidere unilateralmente sulle situazioni giuridiche soggettive di questi ultimi e senza il loro consenso.

Per i provvedimenti amministrativi negativi, ovvero per quegli atti giuridici che esprimono la volontà di non modificare la realtà giuridica esistente, invece, l’imperatività si sostanzia nella cd. non spettanza, cioè nella definizione autoritativa che quel dato provvedimento non spetta al destinatario.

2.4 L’efficacia

Altra caratteristica individuata dalla dottrina è quella della efficacia, ovvero l’idoneità, ravvisata in astratto, del provvedimento a produrre effetti giuridici.

In particolare, essa verrà acquistata dal provvedimento amministrativo limitativo della sfera giuridica dei privati con la sua comunicazione al destinatario.

Chiaramente non tutti i provvedimenti amministrativi sono soggetti alla comunicazione nei confronti del destinatario. A titolo esemplificativo, si pensi agli atti aventi carattere urgente. Questi, per loro natura, sono sempre immediatamente efficaci.

2.5 L’esecutorietà

La caratteristiche della cosiddetta esecutorietà trova è, oggi, disciplinata dall’art. 21-ter, L. n. 241/1990.

Essa può essere definita come il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza doversi rivolgere preventivamente al giudice allo scopo di ottenerne l’esecuzione forzata. L’esecutorietà, pertanto, non rappresenta altri se non una deroga al principio civilistico del divieto di autotutela, ovvero di farsi giustizia da sé, ed opera sul piano delle attività materiali necessarie per conformare la realtà fattuale alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento amministrativo. Chiaramente, l’esecutorietà presuppone che il provvedimento emanato dall’amministrazione sia efficace ed esecutivo.

L’amministrazione, comunque, può discrezionalmente riservarsi di differire o sospendere l’esecuzione del provvedimento.

2.6 L’inoppugnabilità

L’ultima caratteristica generale del provvedimento amministrativo consiste nella cosiddetta inoppugnabilità, la quale ricorre allorché decorrono i termini previsti dall’ordinamento per l’esperimento degli strumenti giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo. Nello specifico, si rammenta che l’azione di annullamento potrà essere esperita entro il termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento o dalla sua effettiva conoscenza da parte del destinatario; l’azione di nullità, invece, è soggetta al diverso termine di 180 dai medesimi avvenimenti; l’azione risarcitoria, in ultimo, potrà essere proposta, in via autonoma, entro 120 giorni.

L’inoppugnabilità potrà altresì realizzarsi a seguito dell’acquiescenza prestata nei confronti del provvedimento amministrativo dal suo destinatario, che consiste in una espressa o tacita dichiarazione di assenso agli effetti prodotti dal provvedimento.

Occorre, ciò nonostante, sottolineare che l’inoppugnabilità non preclude all’amministrazione che ha emanato il provvedimento amministrativo di esercitare il potere di autotutela, procedendo all’annullamento d’ufficio, ex art. 21-nonies, L. n. 241/1990, o alla revoca dello stesso, ex art. 21- quinquies, L. n. 241/1990.

3. La complessa natura giuridica della concessione amministrativa

Tutto quanto esposto nei precedenti paragrafi potrebbe apparire una semplice ricostruzione dottrinale priva di risvolti pratici. Eppure vi è una tipo di provvedimento amministrativo in grado di far comprendere all’operatore del diritto quanto le considerazioni finora sviluppate abbiano una rilevanza fondamentale in seno alla realtà giuridica.

Si sta, infatti, facendo riferimento alla concessione amministrativa, ovvero l’atto con il quale l’amministrazione attribuisce ex novo (concessione costitutiva) o trasferisce in capo ad un soggetto privato la titolarità di un diritto soggettivo (concessione traslativa). Essa produce, dunque, un effetto ampliativo della sfera giuridica del destinatario.

Il rapporto giuridico che si instaura in casi simili vede il soggetto privato che presenta l’istanza di concessione, e che è titolare di un interesse legittimo pretensivo, e l’amministrazione. Solo successivamente all’emanazione del provvedimento concessorio sorgerà in capo al privato un diritto soggettivo, che potrà essere fatto valere pure nei confronti di terzi.

Nell’ordinamento giuridico italiano, l’espressione “concessione” è storicamente utilizzata con svariati significati ed in relazione ad un’ampia categoria di differenti fattispecie per oggetto, per contenuto e per effetti – si pensi, ad es., alle concessioni di servizi (pubblici e non, locali e non), di lavori, di beni demaniali, di onorificenze, di cittadinanza ed edilizie (oggi, tramutati in permessi di costruire). Ciò che accomuna tutti i tipi appena citati è, a ben vedere, il sol fatto che l’amministrazione arricchisca la sfera giuridica del concessionario, costituendo o trasferendo al patrimonio giuridico dello stesso nuovi status, nuove qualità, nuovi diritti o nuove legittimazioni.

La dottrina italiana si è interrogata, per molto tempo, circa la natura giuridica della concessione, dividendosi tra impostazione pubblicistica (concessione come provvedimento amministrativo) e privatistica (concessione come contratto). Tale istituto, infatti, oscilla da sempre tra il diritto pubblico e quello privato.

Senza addentrarci nell’esposizione delle diverse tesi a sostegno dell’una o dell’altra impostazione, possiamo tuttavia riflettere circa il vero fondamento di ogni provvedimento amministrativo e, cioè, la manifestazione unilaterale del potere amministrativo. In tal senso, la concessione parrebbe porsi in posizione antitetica. In particolare, riflettendo sulle considerazioni sin ora svolte sul punto, e tenuto conto della già accennata capacità costitutiva o traslativa della concessione, potremmo affermare che l’amministrazione risulti essere la parte, per così dire, debole del rapporto amministrativo, essendo la stessa costretta a “concedere” un qualcosa al privato coinvolto.

A ben vedere, la natura privitastica-contrattualistica delle concessioni emerge nella species delle concessioni di beni e servizi, attraverso le quali le pubbliche amministrazioni si rivolgono al mercato al fine di individuare un soggetto idoneo alla realizzazione di opere pubbliche o, ancora, alla gestione di servizio. Si pensi, ad esempio, a quanto ciò avvenga con frequenza nei Comuni, in relazione alla gestione dei servizi di pubblica illuminazione o di pubblico trasporto. Il concessionario, dal canto suo, si ripaga del capitale investito attraverso la gestione economica dell’opera o del servizio.

Se, poi, si cerchi di applicare la caratteristica dell’unilateralità a siffatta tipologia di provvedimento, ci si accorge immediatamente dell’assoluta mancata predisposizione della concessione alla stessa, giacché la concessione è e non può non essere altro se non il frutto di un accordo tra la pubblica amministrazione ed il privato, il quale dovrà, in definitiva, accettarne il contenuto.

In Italia, la materia delle concessioni, sia per la tradizione giuridica nazionale, sia per la peculiare essenza dell’istituto, si imbatte in parecchie criticità operative e riflette l’enorme difficoltà dell’ordinamento interno di fronte al progressivo ed ineluttabile mutamento derivante dall’appartenenza all’Unione Europea. Ad esempio, le concessioni di beni e servizi sono state oggetto di alcune direttive europee, che ne hanno chiarito la natura giuridica.

Il Parlamento europeo, tramite la Dir. 2014/23/UE ed il Consiglio del 26/02/2014, con riferimento all’aggiudicazione dei contratti di concessione (GUUE L 94 del 28 marzo 2014), ha operato la creazione di un testo normativo per l’autonoma definizione delle concessioni di lavori e di servizi senza più, come accadeva in passato, fare riferimento agli appalti. Tale tentativo di assimilazione degli appalti alla concessione, nel nostro ordinamento aveva arrecato non pochi perplessità e problemi interpretativi. Attualmente, pertanto, l’art. 5, par. 1, lett. a) e b), definisce la “concessione di lavori/servizi” un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori/servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

4. Dai problemi sulla natura giuridica ai problemi sulla giurisdizione

In Italia, la materia delle concessioni, sia per la tradizione giuridica nazionale, sia per la peculiare essenza dell’istituto, si imbatte in parecchie criticità operative e riflette l’enorme difficoltà dell’ordinamento interno di fronte al progressivo ed ineluttabile mutamento derivante dall’appartenenza all’Unione Europea.

La questione diventa ancor più rilevante laddove dovesse mostrarsi necessario  adìre l’autorità giudiziaria allo scopo di dirimere una controversia in ordine ad una concessione.

Sin dagli anni ’90 del secolo scorso, si è affermato in giurisprudenza che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex L. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 5-7, le controversie relative a rapporti di concessione di beni e di servizi pubblici, indipendentemente dalla natura delle posizioni giuridiche dedotte e alla fonte da cui detti rapporti traggono origine (Cass., Sez. un. 19 luglio 1995, n. 7816).

La giurisdizione del giudice amministrativo è stata altresì affermata nei casi in cui si chieda la risoluzione del contratto per inadempimento degli obblighi assunti, sia che l’ente concedente non faccia ricorso a poteri autoritativi per revocare la concessione, bensì faccia valere, ad esempio, una clausola di disdetta (Cass., Sez. un. 11 maggio 1998, n. 4749), sia che il concessionario chieda la risoluzione del rapporto per pretese inadempienze dell’ente concedente, nonché la condanna di quest’ultimo al ristoro dei danni relativi (Cass., Sez. un., 17 novembre 1998, n. 11578).

L’attuale formulazione dell’art. 133, 1 co, lett. b) e c), c.p.a. prevede, poi, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le “concessioni”. Tuttavia, le concessioni-contratti  dovrebbero, invero, rientrare nella giurisdizione ordinaria, una volta terminata la fase pubblicistica dell’affidamento, la cui cognizione compete, al contrario, alla giustizia amministrativa.

Ciò premesso e chiarito, è interessante citare la rivoluzionaria pronuncia del Cons. Stato, Sez. IV, 2 luglio 2018, n. 4005, attraverso la quale il Consiglio di Stato ha, da una parte, confermato e ribadito la natura contrattuale delle concessioni, mentre, dall’altra, ha sancito una volta per tutte la fine della giurisdizione esclusiva sulle stesse.

La questione su cui si sono pronunciati i Giudici di Palazzo Spada risulta essere, a ben vedere, molto complessa con riferimento alla vicenda in sè e tenuto conto del difetto di giurisdizione dichiarato, in primo grado, dal giudice civile, e riguarda l’esercizio di una discarica in regime di concessione ai sensi dell’art 8, D.P.R. n. 915/1982 e dell’art 7, D.L. n. 361/1987.

Senza addentrarci, in questa sede, nella disamina dell’iter giudiziario percorso, la sentenza del Consiglio di Stato citata ha affermato che, in simili casi, la controversia ben può essere devoluta ad arbitri, ha confermato la natura contrattuale delle concessioni e, allo stesso tempo, ha sancito la fine della giurisdizione amministrativa esclusiva sulle concessioni.

Tale circostanza attesta inequivocabilmente la naturale spettanza alla giurisdizione ordinaria della fase esecutiva delle concessioni.

A fortiori, in considerazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 luglio 2018, n. 4005 (annulla T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 746/2016), che ha ravvisato la presenza di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, una valida riflessione da fare riguarda, per così dire, la scomparsa, in simili casi, dell’elemento autoritativo pubblico, cui sono naturalmente connessi gli interessi legittimi, con l’inevitabile conseguenza dello scardinamento del pilastro sul quale si fonda la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

Dunque, l’aver affermato che l’accertamento dell’obbligo di eseguire una concessione può essere devoluto ad arbitri conferma  che non si tratta affatto di un potere pubblico a cui corrisponde una soggezione privata e che la concessione ha carattere contrattuale e disponibile.

Bibliografia essenziale

Cassese, “Trattato di diritto amministrativo, Tomo I”, Griuffè Editore, 2002;

Clarich,“Manuale di diritto amministrativo”, il Mulino Strumenti, Seconda edizione, 2015;

Ceruti, “Le concessioni tra contratto, accordo e provvedimento amministrativo”, Appalti e urbanistica, 2016.

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Laureata nel 2016 presso l'Università degli Studi di Enna "Kore" con una tesi in diritto amministrativo dal titolo "La responsabilità del pubblico dipendente". Particolarmente interessata al diritto amministrativo, al diritto degli enti locali e al diritto del lavoro, già uditrice presso la cattedra di Diritto amministrativo e degli Enti Locali dell'Università degli Studi di Enna "Kore".