Cognome dei figli nati fuori dal matrimonio: cognome paterno, materno o entrambi. Sollevata la questione di legittimità costituzionale

Rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 262 co. 1 c.c., nella parte in cui impone al figlio nato fuori dal matrimonio l’acquisizione del cognome paterno anziché di quello di entrambi i genitori. Corte Costituzionale, ordinanza 11 febbraio 2021, n. 18.

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Diamante e dell’avv. Eleonora Pedevillano

Con l’ordinanza in esame, la Consulta ha ritenuto di sollevare in via pregiudiziale, disponendone la trattazione innanzi a sé, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, co. 1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori.

Il giudizio di legittimità costituzionale è stato promosso, questa volta, su impulso del Tribunale di Bolzano che, chiamato a decidere in ordine al ricorso proposto dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000 per la rettificazione dell’atto di nascita di una bambina i cui i genitori non uniti in matrimonio avevano concordemente voluto attribuire il solo cognome materno, si scontrava con la previsione di cui all’art. 262, co. 1, c.c., a norma del quale il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto e, se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre.

In particolare, il giudice a quo censurava la disposizione di cui all’art. 262, co.1., c.c., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno. Secondo il Tribunale rimettente, la preclusione imposta dall’art.162 co. 1 c.c., si porrebbe in contrasto con l’art. 2 Cost. sotto il profilo della tutela dell’identità personale, con l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’uguaglianza tra donna e uomo, come già rilevato dalla Consulta nella sentenza n. 286/2016 e con l’art. 117 co. 1 Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia diritti dell’uomo e libertà fondamentali (CEDU), che trovano corrispondenza negli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il Giudice delle leggi ha tuttavia rilevato che le questioni sollevate dal giudice a quo si inseriscono nella ben più ampia questione dell’automatica attribuzione del cognome paterno, una «secolare prevalenza del cognome paterno trova il suo riconoscimento normativo – oltre che nella disposizione censurata – negli artt. 237 e 299 cod. civ.; nell’art. 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); negli artt. 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127)». Dunque, a venire in esame è la legittimità costituzionale di una disciplina che si porrebbe in contrasto con il principio di parità dei genitori, del diritto all’identità personale dei figli, della salvaguardia dell’unità familiare.

Già nell’ordinanza 586 e 176 del 1988 la Corte costituzionale faceva riferimento alla possibilità di introdurre sistemi diversi di determinazione del nome, egualmente idonei a salvaguardare l’unità della famiglia, senza comprimere l’eguaglianza e l’autonomia dei genitori, giungendo ad affermare con l’ordinanza 61 del 2016 che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».

La Corte rinveniva nell’uguaglianza dei genitori la garanzia dell’unità familiare, che «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità» (sentenza n. 133 del 1970), unità invece tradita dalla «perdurante violazione del principio di uguaglianza “morale e giuridica” dei coniugi», in grado di contraddire «ora come allora, quella finalità di garanzia dell’unità familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi» (sentenza n. 286 del 2016)

Nell’esaminare la questione sottoposta al vaglio di legittimità, la Corte Costituzionale ha richiamato la propria pronuncia n. 286 del 2016, con la quale, ravvisando il contrasto della regola del patronimico con gli artt. 2, 3, 29, co. 2, Cost., aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c.; 72, co. 1, del r.d. n. 1238 del 1939; e 33 e 34 del D.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno in aggiunta al patronimico. In tale decisione, la Consulta aveva preso atto che, in via temporanea, «in attesa di un indifferibile intervento legislativo, destinato a disciplinare organicamente la materia, secondo criteri finalmente consoni al principio di parità», “sopravvive” la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno, destinata a operare in mancanza di accordo espresso dei genitori. Anche dopo questa pronuncia, gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina non hanno avuto séguito.

La Corte ha puntualmente evidenziato che anche il riconoscimento della facoltà dei genitori di scegliere, di comune accordo, la trasmissione del solo cognome materno lascerebbe intatta la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno, a meno che una tale opzione non fosse prevista e poi ribadita in tutte le fattispecie in cui tale accordo manchi o non sia stato legittimamente espresso. Senza contare che, sempre ad avviso della Corte, «neppure il consenso, su cui fa leva la limitata possibilità di deroga alla generale disciplina del patronimico, potrebbe ritenersi espressione di un’effettiva parità tra le parti, posto che una di esse non ha bisogno dell’accordo per far prevalere il proprio cognome». Di tal ché il meccanismo consunsuale dal solo lato materno non si porrebbe quale rimedio alla disparità di trattamento.

Per tale ordine di ragioni, la Corte ha ravvisato un rapporto di presupposizione e di continenza tra la questione specifica dedotta dal giudice a quo (illegittimità dell’art. 262, co. 1, c.c. nella parte in cui non consente di attribuire al figlio nato fuori dal matrimonio il solo cognome della madre in presenza di accordo) e la questione nascente dai dubbi di legittimità costituzionale del meccanismo del consenso per l’attribiuzione del cognome materno a fronte dell’automatismo del patronimico in assenza di accordo, configurando pertanto «la risoluzione della questione avente ad oggetto l’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui impone l’acquisizione del solo cognome paterno» come «logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice a quo».

La Corte ha sostenuto che la non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale è rilevabile nel contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia, ed ha pertanto deciso di disporre la trattazione della questione innanzi a sé, per risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, co.1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno al figlio nato fuori dal matrimonio, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, co.1 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Motivo per cui la Corte costituzionale ha sollevato, innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, co.1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento scientifico di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.