Non è un massaggiatore abusivo chi pratica massaggi non curativi senza abilitazione

massaggiatore abusivo

Non costituisce esercizio abusivo della professione praticare massaggi non curativi. Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 20 aprile 2020 n. 12539.

La Massima

Tratta dalla sentenza

Sotto la denominazione “massaggio” ricadano plurime tipologie di manipolazione, sia le operazioni che sono rivolte ad una specifica finalità terapeutica (in quanto tese a dare sollievo a patologie vere e proprie, quali distorsioni o lombosciatalgie, ernie o semplici protrusioni, dolori articolari, slittamenti delle vertebre, ecc.) e che presuppongono uno specifico titolo di studio e la relativa abilitazione professionale (cioè la qualifica professionale di massofisioterapista della riabilitazione), sia le operazioni che invece hanno una mera finalità di benessere o distensivi ovvero a fini meramente estetici (quali quelli antietà, anticellulite, antistress, ecc.), in relazione ai quali non è invece necessario il conseguimento di alcun titolo rilasciato da parte dello Stato. Ne discende che l’esercizio abusivo della professione medica o paramedica può configurarsi soltanto con riguardo alla pratica dei massaggi che abbiano una specifica finalità curativa, cioè di quelli che, stante la diretta incidenza sulla salute delle persone, postulano specifiche e riscontrate competenze mediche, terapeutiche o fisioterapiche. Diversamente, detto delitto non è ravvisabile in caso di manipolazioni che non abbiano una finalità propriamente terapeutica e non postulino pertanto una tecnica particolare, essendo volti a dispensare benessere, inteso in senso lato, anziché a curare una patologia o a lenirne gli effetti.

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

E’ esercizio abusivo della professione praticare massaggi in assenza di qualifica? 

Veniva condannata in entrambi i gradi di giudizio anche per il delitto di abusivo esercizio di una professione di cui all’art. 348 c.p..

Segnatamente, la Corte di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha ritenuto provato lo svolgimento da parte dell’imputata di un’attività riconducibile alla professione medica atteso che la stessa passeggiando lungo la spiaggia, si avvicinava ai bagnanti per offrire loro svariati massaggi, pubblicizzandoli con dei fogli ove veniva specificata la loro utilità a curare alcune patologie. A sostegno di tale argomentare la circostanza che venivano rinvenute all’interno dello zainetto bottiglie contenenti canfora, sostanza nota per le sue proprietà curative.

Ricorreva per Cassazione il Procuratore Generale lamentando violazione di legge in relazione al reato contestato.

Sosteneva come, non potesse ritenersi provato che l’imputata praticasse massaggi a scopo curativo – terapeutico, atteso che risultava improbabile scambiare per medico o paramedico colei la quale offra dei massaggi sulla spiaggia, aggiungendo inoltre, che la paventata finalità terapeutica dei massaggi non poteva desumersi dall’uso della canfora.

Non integra il reato di esercizio abusivo della professione praticare massaggi in assenza di una specifica finalità curativa.

La Corte ha accolto il ricorso ritenendo fondate le censure ivi formulate.

Il reato di cui all’art. 348 c.p. può configurarsi soltanto con riguardo alla pratica di quei massaggi che abbiano una specifica finalità curativa, cioè di quelli che, stante la diretta incidenza sulla salute delle persone, necessitano specifiche e riscontrate competenze mediche, terapeutiche o fisioterapiche (a titolo di exempla cura di distorsioni o lombosciatalgie, ernie, dolori articolari, slittamenti delle vertebre), e che presuppongono uno specifico titolo di studio e la relativa abilitazione professionale (massofisioterapista della riabilitazione).

Diversamente, detto delitto non è ravvisabile in caso di manipolazioni che non abbiano una finalità propriamente terapeutica e non postulino pertanto competenze particolari, avendo finalità meramente distensive e/o di benessere ovvero di natura estetica (quali quelli antietà, anticellulite, antistress) in relazione alle quali non è invece necessario il conseguimento di alcun titolo rilasciato da parte dello Stato.

Alla luce di tale argomentare, l’imputata non ha esercitato in concreto alcuna attività per la quale era richiesta una specifica abilitazione professionale, non potendosi pertanto ritenere integrato il reato di cui all’art. 348 c.p. A nulla rileva il riferimento alle proprietà terapeutiche contenuto nel cartello appeso sullo zaino che la massaggiatrice portava con sè, per nulla atto a conferire alla condotta dell’imputata la qualità di esercizio di una professione subordinata al conseguimento di una speciale abilitazione, assolvendo semmai ad una finalità solo promozionale della propria attività.

Considerate, poi, le condizioni e l’ambiente nel quale le manipolazioni venivano praticate (su di un asciugamano o un lettino su di una spiaggia pubblica affollata di turisti), le persone che vi si sottoponevano non potevano realmente trarne il convincimento che si trattasse di massaggi praticati in modo professionale, da persona munita di una specifica qualifica sanitaria e aventi una reale natura terapeutica, non potendo quest’ultima desumersi dal fatto che l’imputata utilizzasse per le manipolazioni la canfora, prodotto di libero acquisto senza necessità di alcuna prescrizione medica.


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Cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 20 aprile 2020 n. 12539

Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del 28 febbraio 2018, con la quale il Tribunale di Messina ha condannato L.J. alla pena di mesi due di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per il delitto di cui all’art. 348 c.p. sub capo A) (per avere abusivamente esercitato la professione medica in assenza della richiesta speciale abilitazione dello Stato, offrendo alla clientela la somministrazione di massaggi e contestualmente di sostanze connotate da proprietà terapeutiche analgesiche ed antinfiammatorie) e per il reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, sub capo B) (per non aver ottemperato, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato). Quanto al capo A), la Corte d’appello ha rilevato come debba ritenersi provato lo svolgimento da parte della L. di un’attività riconducibile alla professione medica atteso che l’imputata veniva osservata passeggiare su di una spiaggia indossando uno zaino sul quale erano appesi dei fogli volti a pubblicizzare vari tipi di massaggi, con la specificazione della loro utilità a curare alcune patologie e, quindi, avvicinarsi ai bagnanti per offrire loro dei massaggi e che i Carabinieri dei N. A.S. hanno accertato che, nello zaino, la donna custodiva bottiglie contenenti canfora, cioè una sostanza avente proprietà curative.

1.2. Con riferimento al capo B), il Collegio di merito ha evidenziato che i Carabinieri non erano in grado di procedere immediatamente all’identificazione della prevenuta perché la stessa aveva dimenticato i documenti a casa, circostanza non integrante un giustificato motivo avendo tutti gli stranieri l’obbligo di portare con sé il documento identificativo.

2. Nel ricorso proposto, il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica della Corte d’appello di Messina chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p.

2.1. Con il primo ed il terzo motivo, il ricorrente eccepisce l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in relazione all’art. 348 c.p. nonché la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta integrazione del reato di esercizio abusivo della professione medica. A sostegno della deduzione, il Procuratore generale evidenzia come non possa ritenersi provato che la L. praticasse massaggi a scopo curativo, atteso che, da una parte, non è possibile scambiare per medico o paramedico colei la quale offra dei massaggi sulla spiaggia; dall’altra parte, la finalità terapeutica dei massaggi non pu desumersi dall’uso della canfora, là dove le generiche qualità “terapeutiche” di un prodotto non ne rendono di per sé professionale l’impiego.

2.2. Con il secondo motivo, il P.G. deduce l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, per avere la Corte siciliana erroneamente ritenuto integrato il reato contravvenzionale, dal momento che l’imputata non si rifiutava di esibire i documenti, ma si limitava, a causa di un giustificato motivo – cioè per il fatto averli dimenticati a casa – ad ottemperare in ritardo all’ordine di esibizione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato in relazione ad entrambi i motivi di ricorso.

2. Occorre premettere che il delitto di esercizio abusivo di una professione previsto dall’art. 348 c.p. è volto a tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione affinché sia garantito che l’esercizio di determinate attività professionali avvenga da parte di chi sia munito della necessaria competenza tecnica, verificata mediante il rilascio di una speciale attestazione di idoneità da parte dello Stato o l’iscrizione in un albo professionale. Si tratta di un delitto di pericolo presunto in quanto esso è integrato a prescindere dal fatto che il soggetto non qualificato o non iscritto sia o meno munito della perizia necessaria per eseguire una determinata prestazione. Affinché il delitto de quo possa ritenersi integrato è per  necessario che il soggetto agente abbia posto in essere una condotta che rientri nell’ambito delle professioni “protette”, id est il cui esercizio sia disciplinato dallo Stato e subordinato al conseguimento di una specifica abilitazione professionale ovvero all’iscrizione in appositi albi o elenchi.

2.1. Orbene, giudica il Collegio che, nella specie, non sussistano i presupposti per affermare che L.J. esercitasse un’attività effettivamente riconducibile ad una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato e, dunque, per ritenere integrato il reato di cui all’art. 348 c.p.. L’imputata è accusata di avere abusivamente praticato l’attività di massaggiatrice “professionale”. Non pu nondimeno non notarsi come sotto la denominazione “massaggio” ricadano plurime tipologie di manipolazione, sia le operazioni che sono rivolte ad una specifica finalità terapeutica (in quanto tese a dare sollievo a patologie vere e proprie, quali distorsioni o lombosciatalgie, ernie o semplici protrusioni, dolori articolari, slittamenti delle vertebre, ecc.) e che presuppongono uno specifico titolo di studio e la relativa abilitazione professionale (cioè la qualifica professionale di massofisioterapista della riabilitazione), sia le operazioni che invece hanno una mera finalità di benessere o distensivi ovvero a fini meramente estetici (quali quelli antietà, anticellulite, antistress, ecc.), in relazione ai quali non è invece necessario il conseguimento di alcun titolo rilasciato da parte dello Stato. Ne discende che l’esercizio abusivo della professione medica o paramedica pu  configurarsi soltanto con riguardo alla pratica dei massaggi che abbiano una specifica finalità curativa, cioè di quelli che, stante la diretta incidenza sulla salute delle persone, postulano specifiche e riscontrate competenze mediche, terapeutiche o fisioterapiche. Diversamente, detto delitto non è ravvisabile in caso di manipolazioni che non abbiano una finalità propriamente terapeutica e non postulino pertanto una tecnica particolare, essendo volti a dispensare benessere, inteso in senso lato, anziché a curare una patologia o a lenirne gli effetti.

2.2. Fatte tali premesse, ritiene il Collegio che – avuto riguardo alla ricostruzione storico-fattuale della vicenda e, precisamente, alle modalità al luogo di esecuzione delle operazioni – non sia revocabile in dubbio l’estraneità delle manipolazioni praticate dall’imputata dalla categoria dei massaggi terapeutici in senso proprio. Non pu  ritenersi atto a conferire alla condotta della L. la “qualità” di esercizio di una professione subordinata al conseguimento di una speciale abilitazione il riferimento alle proprietà terapeutiche contenuto nel cartello appeso sullo zaino che ella teneva sulle spalle. Detto riferimento assolveva chiaramente ad una finalità solo promozionale della propria attività e non vale di per sé a mutare la natura oggettiva delle prestazioni manuali da ella erogande. Nè pare revocabile in dubbio che, per le modalità ed il contesto nel quale le manipolazioni venivano praticate (su di un asciugamano o un lettino su di una spiaggia pubblica affollata di turisti), da parte di un soggetto che non faceva alcun riferimento a competenze particolari nè ad una specifica abilitazione professionale, le persone che vi si sottoponevano potessero realmente trarre da tali circostanze il convincimento che si trattasse di massaggi praticati in modo professionale, da persona munita di una specifica qualifica sanitaria e muniti di una reale valenza terapeutica.

2.3. La natura terapeutica dei massaggi praticati dalla L. non pu  neanche desumersi dalla circostanza che ella utilizzasse per le manipolazioni canfora o olio di lino, trattandosi di prodotti di libero acquisto senza necessità di alcuna prescrizione da parte di un medico. D’altra parte, le qualità asseritamente “terapeutiche” di un prodotto non ne rendono professionale l’impiego, così come non pu  ritenersi tale da integrare l’esercizio abusivo della professione medica la somministrazione da parte di un ristoratore di pasti cucinati con uno qualunque dei plurimi alimenti notoriamente aventi qualità lato sensu “terapeutiche” o favorevoli per la salute.

2.4. Conclusivamente, giudica la Corte che, tenuto conto delle modalità di espletamento e del contesto storico e ambientale della condotta, L.J. non esercitasse in concreto alcuna attività per la quale era richiesta una specifica abilitazione professionale, di tal che si è al di fuori del perimetro dell’art. 348 c.p.

3. Ad analoga conclusione deve pervenirsi quanto alla contestazione sub capo B), nella quale è ascritto all’imputata il reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, per non aver ottemperato, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione di un documento d’identità e del permesso di soggiorno.

3.1. Secondo la ricostruzione compiuta dai Giudici di merito, L.J. controllata sulla spiaggia nel mentre stava tenendo la condotta sub A) e richiesta di esibire il proprio documento d’identità ed il permesso di soggiorno, non era in grado di fornire i documenti asserendo di averli dimenticati a casa, veniva pertanto condotta nella Caserma dei Carabinieri ove venivano portati (evidentemente da altri) ed esibiti i documenti richiesti, cioè un valido documento di riconoscimento ed il regolare permesso di soggiorno.

3.2. Giudica invero il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte siciliana, l’imputata non esibiva immediatamente i documenti richiesti sulla base di un “giustificato motivo” – espressamente previsto quale esimente dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, -, là dove asseriva, a giustificazione dell’omessa presentazione, di averli dimenticati a casa, con ci  fornendo una ragione dell’inottemperanza plausibile e suscettibile di verifica da parte degli operanti, risultata per di più veritiera e prontamente superata dall’esibizione del passaporto e del permesso di soggiorno in Caserma.

3.3. Ma quand’anche si ritenesse che la prospettazione della dimenticanza a casa dei documenti non sia suscettibile di integrare il “giustificato motivo” previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, non pu  trascurarsi di considerare come l’imputata producesse comunque i documenti de quibus presso la Caserma dei Carabinieri ove era stata condotta per gli accertamenti in ordine alla sua identità, pertanto nell’ambito di un contesto accertativo unitario o comunque in un lasso di tempo accettabilmente breve, senza soluzione di continuità e dunque nell’immediatezza del primo controllo sulla spiaggia, il che in definitiva – impedisce di ritenere integrata l'”inottemperanza” sanzionata dalla fattispecie contravvenzionale (in questo senso si veda, in una fattispecie assimilabile, Sez. 1, n. 12511 del 11/03/2010, Rv. 246536; Sez. 1, n. 47512 del 29/11/2007, P.M. in proc. Zhang, Rv. 238374). Deve invero essere considerato che – come precisato dal più ampio consesso di questa Corte (nella sentenza n. 16453 del 24/02/2011 – Rv. 249546) l’interesse protetto dalla norma di cui al citato art. 6, comma 3, “è quello di procedere immediatamente alla verifica della regolarità della presenza dello straniero in territorio nazionale, per poter il più rapidamente possibile mettere in opera il meccanismo processualpenale e amministrativo volto all’espulsione dal territorio nazionale dello straniero in posizione irregolare. L’identificazione e l’accertamento di regolare presenza degli stranieri legalmente soggiornanti costituiscono, infatti, attività prodromiche e funzionali a innescare il procedimento di espulsione di quelli in posizione irregolare. Invero, la mancata esibizione di documenti attestanti la regolarità del soggiorno, di per sé, costituisce un indizio del reato di cui all’art. 10-bis, con tutto ci  che consegue in termini di accertamenti di polizia giudiziaria, a cominciare dai poteri d’identificazione di cui all’art. 349 c.p.p.”. Detto interesse non pu , pertanto, ritenersi offeso allorché l’identificazione circa la regolare presenza dello straniero sul territorio nazionale sia comunque possibile, quand’anche con un ragionevole ritardo dovuto ad un riscontrato motivo, come appunto nella specie.

4. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione ad entrambi i capi d’imputazione perché i reati ivi contestati non sussistono.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Si dà atto che il presente provvedimento redatto dalla Consigliera Dr. Bassi Alessandra, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

 

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica