Calunnia e diritto di difesa: necessario nesso funzionale tra accusa e addebito

calunnia diritto di difesa

Esercita il diritto di difesa l’imputato che calunnia altri quale unico mezzo per confutare l’imputazione. Cass. sent. n. 6598/2022

 

La Massima

Non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che affermi falsamente davanti all’Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, in fatti penalmente illeciti, purchè la mendace dichiarazione costituisca l’unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell’imputazione, secondo un rapporto di stretta connessione funzionale tra l’accusa (implicita od esplicita) formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità, nel senso dell’assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito.

La Nota

La Corte di appello, in riforma della decisione di prime cure, ha assolto l’imputato dal reato di calunnia di cui all’art. 368 c.p. ai danni della parte civile, falsamente accusata attribuendogli la falsa sottoscrizione a proprio nome del contratto di noleggio di una autovettura, ritenendo che il fatto non costituisse reato come scriminato dall’esercizio del diritto di difesa ex art. 51 c.p..

Nell’interposto ricorso per la cassazione della decisione, la parte civile deduceva l’erronea applicazione della causa di giustificazione ex art. 51 c.p., dal momento che si valorizzava un orientamento nomofilattico – quello di cui alla sentenza n. 14042 del 2015 – che tuttavia si riteneva aver riguardo piuttosto della mera negazione della propria responsabilità, a fronte della formulazione di un’esplicita accusa. Si riteneva infatti che l’accusa sia finalizzata ad una “maggiore efficacia” della difesa decettiva è possibile solo quando l’imputato non abbia altra via di uscita e solo nei limiti in cui tale attività sia inevitabile.

A sostegno della sussistenza della scriminante in parola, la Corte ha valorizzato il concetto per cui la mera negazione dell’accusa da parte dell’imputato, in assenza di una concomitante indicazione dell’autore del falso, costituirebbe una difesa platealmente inefficace e priva di ragionevoli alternative in un contesto probatorio dato.

La Suprema Corte ha richiamato l’orientamento di legittimità (sentenza n. 14042 del 02/10/2014 – dep. 2015 e n. 40886 del 08/03/2018) secondo cui in tema di calunnia non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che affermi falsamente davanti all’Autorità giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, nella responsabilità per il reato a lui ascritto, purchè la mendace dichiarazione costituisca l’unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell’imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l’accusa formulata dall’imputato (sia essa implicita od esplicita) e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialità, nel senso dell’assenza di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito.

Nel rintracciare il limite entro cui l’imputato, nel negare la verità delle dichiarazioni accusatorie, travalichi il nesso funzionale tra tale negazione e l’attività difensiva, la Sesta Sezione ha condiviso l’indirizzo già espresso nella giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 14042 del 02/10/2014 – dep. 2015), secondo cui il criterio di stretta correlazione funzionale esige «che il falso addebito sia formulato in termini che non eccedano l’utilità, l’essenzialità per una efficace confutazione dell’accusa, indipendentemente dal grado di articolazione dell’indicazione accusatoria mendace».

Tale nesso funzionale della circostanziata attribuzione calunniosa deve essere valutata con riferimento al caso concreto, dovendosi al contrario escludere quando il contenuto dell’attività difensiva sia non necessitato, in quanto sorretta da ragionevoli alternative. Dunque, l’attività decettiva deve essere contenutisticamente vincolata, tanto che «l’affermazione infondata di colpa a carico di altri, sia essa esplicita od implicita, deve risultare in sostanza priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito, a prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di ogni attività decettiva che esuli dall’enunciazione della falsa accusa “essenziale”»

Nella valutazione in termini di valido esercizio del diritto di difesa, ai fini della correlazione funzionale tra accusa e contestazione addebitata, la Corte ribadisce altresì il principio secondo cui non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che attribuisce un determinato fatto di reato ad altra persona, che pure sa innocente, soltanto per negare la propria responsabilità e ciò faccia nell’immediatezza dell’accertamento o nella sede processuale propria (sentenza n. 17883 del 10/02/2021, con riferimento ad accuse decettive già in sede di interrogatorio).

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Cassazione, Sez. VI, n. 6598 del 03/122021 – 23/02/2022

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