Estorsione la minaccia di rivelare la relazione extraconiugale per ottenere denaro

È estorsione la minaccia di rivelare la relazione extraconiugale per ottenere il pagamento di una somma di denaro. Cassazione, Sez. II, Sentenza 11 marzo 2020, n. 9750

La Massima

a cura dell’avv. Andrea Diamante

La  minaccia di rivelare  la relazione extraconiugale intercorsa ai familiari dell’amante per ottenere il pagamento di una somma di denaro configura il delitto di estorsione ex art. 629 c.p., non rilevando la convinzione di avere diritto alle somme richieste, non rinvenendosi in un siffatto contesto una pretesa tutelabile in mancanza di un riconoscimento di tale somma da parte del soggetto minacciato.

La Nota

a cura dell’avv. Andrea Savoca

Costringere a consegnare una somma di denaro con la minaccia di rivelare la relazione extraconiugale

La ricorrente veniva condannata per il reato di estorsione di cui all’art. 629 c.p. per aver costretto il partner a consegnarle in due diverse tranche la somma di 6.000,00 €, minacciandolo di rivelare la relazione extraconiugale alla moglie.

Il difensore della donna adiva la Suprema Corte adducendo l’illogicità della motivazione per travisamento della prova. Infatti, si sosteneva l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, sul presupposto che l’imputata riteneva che la somma richiesta le spettasse di diritto quale contropartita per una dolorosa e problematica interruzione di gravidanza, come le era stato promesso dall’amante. Solo perciò l’imputata minacciava l’uomo di rivelare la relazione alla di lui moglie.

La minaccia di rivelare la relazione extraconiugale può integrare il reato di estorsione.

La Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha rilevato come le censure ivi proposte fossero da ritenere come un modo surrettizio di cercare di introdurre, in sede di legittimità, una nuova valutazione dei fatti già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito. 

Invero, quest’ultima, confermando la sentenza di primo grado, aveva puntualmente argomentato sulla infondatezza della pretesa da parte dell’imputata, in assenza di prove circa l’accordo sul riconoscimento di una somma per non aver portato a termine la gravidanza e quindi sull’infondatezza del suo diritto alle somme richieste, concludendo pertanto positivamente sulla sussistenza del dolo ovvero nel caso di specie sulla consapevolezza della illegittimità della pretesa.


Leggi il provvedimento

Clicca per leggere

Cassazione, Sez. II, Sentenza 11 marzo 2020, n. 9750

Svolgimento del processo

1. Il difensore di G.H.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di

Appello di Bologna del 10/10/2018, che aveva confermato la condanna a carico della ricorrente per il reato di estorsione: secondo il capo di imputazione l’imputata, minacciando di rivelare ai familiari di C.M. la relazione extraconiugale che i due avevano avuto in passato, costringeva C. a consegnarle prima la somma di Euro 1.000,00 e poi di Euro 5.000,00.

1.1 Al riguardo il difensore osserva che la sussistenza dell’elemento psicologico del reato era stato desunto dalle modalità di esecuzione delle minacce, dal contenuto delle stesse e dalla circostanza che l’imputata, nelle dichiarazioni rese, avesse asserito o lasciato intendere di non avere idea della illegittimità del suo comportamento; i primi due aspetti attenevano solamente all’aspetto materiale della condotta, per cui ci si era basati su un criterio di valutazione che confondeva la materialità della condotta con l’elemento psicologico sottostante.

1.2 Per il terzo aspetto, lo stesso confliggeva in modo evidente con le dichiarazioni dell’imputata, che aveva ammesso di aver minacciato l’uomo dicendogli che sarebbe andata a casa sua ad informare la moglie del loro rapporto ultradecennale se non avesse ottenuto il resto del denaro che l’uomo dapprima le aveva promesso ma che poi le aveva dato solo in parte, denaro che riteneva le spettasse di diritto, se non quale contropartita per una dolorosa e problematica interruzione di gravidanza, quantomeno perchè le era stato promesso: appariva quindi pienamente integrato il travisamento della prova, che rendeva illogica la motivazione.

1.3 Il difensore aggiunge che il travisamento si era verificato per la prima volta in secondo grado e che comunque rilevava anche sotto il profilo della logicità, completezza e congruenza della motivazione: sussisteva infatti un vizio della motivazione per aver valutato il tema della sussistenza del dolo sulla base non già del compendio probatorio nel suo complesso, ma in modo esclusivo o prevalente sulla base della sola rappresentazione di esso fornita dall’imputata; inoltre i giudici avevano ignorato che le dichiarazioni dell’imputata avrebbero dovuto essere filtrate e condizionate da circostanze estranee alla persona dell’imputata (la maggiore o minore qualità della verbalizzazione riassuntiva, le modalità più o meno precise e stringenti nella conduzione dell’esame dibattimentale, l’abilità maieutica dell’esaminante), sia da caratteristiche personali sue proprie quali la maggiore o minore capacità di espressione, la sua scolarizzazione, la proprietà di linguaggio e la scarsa conoscenza della lingua italiana.

2. In data 5 febbraio 2020 veniva depositata memoria da parte del difensore della parte civile C.M..

2.1 Nella memoria il difensore osserva che il ricorso tendeva ad inquadrare larichiesta di denaro non in un’ottica estorsiva, ma di pretesa di rispetto di un accorso secondo cui il denaro costituiva la contropartita per una interruzione di una gravidanza, eventualità esclusa sia dal Tribunale che dalla Corte di appello; quanto all’elemento soggettivo, le sentenze di merito avevano ampiamente argomentato sulla sussistenza dello stesso ed il ricorso era inammissibile in quanto contrapponeva una lettura alternativa delle dichiarazioni dell’imputata.

Motivi della decisione

1.Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

1.1 Si deve infatti premettere che in questa sede non è consentito dedurre il travisamento del fatto, essendo precluso al giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, ma solo il travisamento della prova, ove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano.

Le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

La Corte di appello ha infatti confermato la sentenza di primo grado, che aveva evidenziato che la tesi difensiva secondo la quale la ricorrente era convinta di avere diritto alle somme richieste (che, secondo la difesa, riteneva le spettassero di diritto) era infondata in quanto non esisteva alcuna pretesa tutelabile; mancava anche il presupposto della richiesta, e cioè il riconoscimento di una somma per non aver portato a termine una gravidanza, presupposto non provato, smentito dalle dichiarazioni del teste S. e sul quale nessuna censura vi è in ricorso per sostenere, invece, la sussistenza dello stesso; oltretutto, in ricorso si contesta che la ricorrente avesse “asserito o lasciato intendere di non avere idea dell’illegittimità del proprio comportamento” (pag. 8 sentenza di appello) senza però indicare su quale punto della dichiarazioni si basi tale contestazione, per cui il motivo è manifestamente infondato in quanto generico.

Nessun travisamento della prova vi è stato pertanto da parte della Corte di appello, la motivazione della cui sentenza viene censurata solo in una parte della stessa, visto che non vi è censura invece su quanto rilevato dalla Corte alle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata e sopra riportato.

3.Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; la ricorrente deve essere anche condannata alle spese sostenute nel grado dalla parte civile, in virtù del principio di soccombenza e non sussistendo motivi per disporne la compensazione.

La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese del grado in favore dalla parte civile C.M., liquidate in Euro 3.510,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, CPA ed IVA. Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.