Mago menagramo: quando è truffa e non abuso della credulità popolare

truffa e non abuso della credulità popolare

Truffa e non abuso della credulità popolare se l’azione è rivolta a specifiche persone e non ad un numero indeterminato. Cass. n. 7513/2022

 

La Massima

Integra il delitto di truffa ex art. 640, co. 2, n. 2 c.p. (fatto commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario) e non la fattispecie di abuso della credulità popolare ex art. 661 c.p. (depenalizzata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8), il cui elemento costitutivo e differenziale si individua nel turbamento dell’ordine pubblico e nell’azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime

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La Corte d’appello confermava la sentenza di prime cure che riconosceva l’imputato colpevole del reato di truffa ex art. 640 c.p., aggravata dal fatto commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario. In particolare, l’imputato, nel sua “professione” di “mago”, rappresentava specifici pericoli alle persone offese, che attenevano persino il rischio di morte, così convincendole la vittima a versare somme di denaro. Nell’interposto ricorso, per quanto qui importa, la difesa lamentava l’erronea applicazione di legge penale in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti, dovendo ritenersi sussistere semmai l’ipotesi di abuso della credulità popolare di cui all’art. 661 c.p..

La II Sezione ha avuto modo di confermare gli elementi differenzianti tra truffa aggravata dall’aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginari e la fattispecie depenalizzata di  abuso della credulità popolare, definendo i confini della rilevanza penale del sedicente mago, quindi quando si versa nel delitto di  truffa e non nella depenalizzata fattispecie contravvenzionale dell’abuso della credulità popolare.

La Suprema Corte ha ritenuto corretto il percorso argomentativo condotto dai giudici di merito, avuto riguardo all’assenza di comunicazioni nei confronti di un numero indeterminato di soggetti ed agli specifici pericoli rappresentati alle persone offese, tra cui anche il rischio di morte, con cui il ricorrente convinceva così la vittima ad elargire in suo favore somme di denaro.

Invero, la Corte ha ribadito il principio di diritto (Sez. 2, n. 49519 del 29/11/2019) secondo cui integra il delitto di cui all’art. 640, co. 2, n. 2 c.p. il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime. Una siffatta condotta non integra quindi la fattispecie di abuso della credulità popolare, depenalizzata dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, il cui elemento costitutivo e differenziale si individua invece nel turbamento dell’ordine pubblico e nell’azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone.

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