Accertamento IVA e IRPEF e gravi indizi di reato: da quando opera il raddoppio dei termini

I termini di accertamento IVA e IRPEF sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato anche per annualità d’imposta anteriori al D.L. 223/2006. Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 29 marzo 2021, n. 8699

La Massima

A cura della Dott.ssa Antonella Caggegi

I termini previsti dall’art. 43 DPR 600/73 per l’IRPEF e dall’art. 57 DPR 633/72 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, co. 24, D.L. 223/2006, conv. con L. 248/2006, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore del decreto.

La Nota

A cura della Dott.ssa Antonella Caggegi

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione aveva ad oggetto due avvisi di accertamento per mezzo dei quali l’amministrazione finanziaria aveva provveduto alla rettifica dei redditi di una contribuente relativi agli anni di imposta 2003 e 2004 ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, a seguito di una verifica fiscale nei confronti di un’impresa esercente l’attività di verifica e registrazione informatica di dati e la tenuta della contabilità per imprese private, verifica da cui era emerso che detta società aveva emesso fatture per operazioni inesistenti anche nei confronti della ditta individuale della contribuente.

Ad avviso dei giudici d’appello, l’eccezione di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere impositivo formulata ai sensi degli artt. 43 e 41-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e degli artt. 54 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972  doveva ritenersi fondata, non potendo nella specie trovare applicazione il raddoppio dei termini per la notificazione dell’avviso di accertamento ai sensi del D.L. 223/2006, poiché l’anno di imposta oggetto di accertamento era anteriore alla sua entrata in vigore.

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 37, co. 24 e 26, D.L. 223/2006. Infatti, secondo l’amministrazione finanziaria, tale disposizione, nell’indicare che i termini sono raddoppiati con riferimento al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione che comporta obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal D. Lgs. 74/2000, stabilisce che tale disciplina trova applicazione a decorrere dal periodo di imposta per cui alla data di entrata in vigore del decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e al secondo comma dell’art. 43 D.P.R. 600/1973 (IRPEF) e dell’art. 57  D.P.R. 633/1972 (IVA). Secondo la tesi dell’erario, la proroga relativa al raddoppio dei termini opera a partire dall’anno di imposta 2001, i cui termini di accertamento sono in scadenza per il 31 dicembre 2006, da cui la pendenza del termine alla data di entrata in vigore del citato D.L. 223/2006.

Nell’accogliere la doglianza, la Cassazione ha chiarito che i termini previsti dagli artt. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del D.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del D.L. 223/2006, conv. con modif. dalla I. 248 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore  del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente – protraendoli – sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. cod. civ. (Cass. Sez. 5, Ord. 30/10/2018, n. 27629).

Mentre, per quanto riguarda l’IRAP, non essendo un’imposta penalmente sanzionata, non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento quale applicabile ratione temporis (Cass. Sez. 6-5, Ord. 3/5/2018, n. 10483; Sez. 6-5, Ord. n. 4742 del 24/2/2020).

Pertanto, la Suprema Corte ha cassato la sentenza, disponendo il rinvio per il nuovo esame.


Cassazione, Sez. Tributaria, ordinanza 29 marzo 2021, n. 8699

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Rilevato che

1. Con sentenza depositata in data 26 giugno 2014 la Commissione tributaria regionale della Puglia riformò la pronuncia con la quale la Commissione tributaria di primo grado aveva rigettato il ricorso proposto da M.O. avverso gli avvisi di accertamento n. TVF010700416/2012 e n. TVF010700417/2012 con i quali l’Agenzia delle entrate aveva rettificato i redditi dalla stessa dichiarati per gli anni di imposta 2003 e 2004 ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, sulla scorta della verifica fiscale effettuata nei confronti della società I.T.ED. s.r.l. – impresa esercente in via prevalente l’attività di verifica e registrazione informatica di dati e in via residuale la tenuta della contabilità per imprese private – dalla quale era emerso che detta società aveva emesso fatture per operazioni inesistenti anche nei confronti della ditta individuale O.M.

2. Ad avviso dei giudici d’appello l’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, formulata dalla contribuente ai sensi degli artt. 43 e 41-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, doveva ritenersi fondata, non potendo nella specie trovare applicazione il raddoppio dei termini per la notificazione dell’avviso di accertamento ai sensi del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modif. dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, invocato dall’Amministrazione finanziaria, per essere l’anno di imposta oggetto di accertamento anteriore alla sua entrata in vigore.

3. Contro tale pronuncia l’Agenzia delle entrate propone ricorso affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso la contribuente.

Considerato che

1. Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37, commi 24 e 26, d.l. 223 del 2006, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Assume la ricorrente che i giudici d’appello, nel ritenere l’Amministrazione decaduta dal potere impositivo in ragione del decorso del termine previsto dagli art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, sono incorsi nella violazione dell’art. 37, comma 26, del d.l. n. 223 del 2006.

Tale disposizione, nel delineare la disciplina transitoria relativa all’operatività del comma 24 del cit. art. 37 – a mente del quale, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione -, stabilisce che lo stesso trova applicazione a decorrere dal periodo di imposta per il quale alla data di entrata in vigore del decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e al secondo comma dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Alla stregua di tale prescrizione, ha soggiunto la difesa erariale, la proroga relativa al raddoppio dei termini opera a partire dall’anno di imposta 2001, i cui termini di accertamento, scadendo il 31 dicembre 2006, risultavano ancora pendenti alla data di entrata in vigore del citato d.l. n. 223 del 2006.

2. In via preliminare deve essere disatteso il rilievo di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza formulato dalla controricorrente sul presupposto che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe indicato gli atti con i quali nei precedenti gradi di merito ha prospettato la questione sottoposta ai giudici di legittimità e non affrontata dalla decisione gravata.

Invero, il principio invocato dalla controricorrente – secondo il quale, qualora una determinata questione giuridica che implichi accertamenti in fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto – non può, nella specie, trovare applicazione, venendo in rilievo una questione giuridica già formulata dalla ricorrente nei precedenti gradi di giudizio e riproposta in sede di legittimità sotto forma di critica della soluzione sulla stessa adottata dai giudici d’appello.

In particolare, la questione posta con il ricorso per cassazione riguarda l’ambito temporale di applicazione dell’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006 e le censure che la supportano si appuntano sulle argomentazioni impiegate nella pronuncia gravata per sostenere l’inapplicabilità ratione temporis della disposizione suddetta.

Difatti, la Commissione tributaria regionale della Puglia ha affrontato il tema dell’efficacia intertemporale dell’art. 37, comma 24, cit., escludendo l’operatività, nel caso di specie, del raddoppio dei termini di decadenza per superamento della soglia di punibilità penale ivi previsto «perché gli accertamenti, emanati dall’Amministrazione Finanziaria, riguardano gli anni d’imposta 2003 e 2004, anteriori alla data del 4 luglio 2006, anteriori alla data del 4 luglio 2006, giorno in cui è entrata in vigore la legge n. 248/2006, pocanzi citata, che ha introdotto sul punto la nuova disciplina del raddoppio dei termini di decadenza e, di cui, a norma dell’articolo 3 della legge n. 212/2000 – statuto del contribuente -, non è consentita l’efficacia temporale retroattiva, trattandosi di disposizioni tributarie» (pag. 4 della sentenza impugnata).

Di conseguenza, la riproposizione della predetta questione di diritto intertemporale in sede di legittimità non solo non può ritenersi nuova, in quanto espressamente affrontata dal giudice di secondo grado, ma, in ogni caso, non involge accertamenti in fatto, risolvendosi in una critica in iure della ricostruzione della portata applicativa della disciplina del termine decadenziale per l’esercizio della potestà impositiva operata nella pronuncia gravata.

3. Le ragioni dedotte a fondamento del ricorso erariale meritano condivisione.

Invero, questa Corte ha chiarito che i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla I. 248 del 2006, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. cod. civ. (Cass. Sez. 5, Ord. 30/10/2018, n. 27629).

3.1. Il principio appena richiamato non può, invece, trovare applicazione con riferimento all’IRAP, che, come reso evidente nella sentenza gravata, pure ha formato oggetto di accertamento, non essendo le violazioni della relativa disciplina presidiate da sanzioni penali (Cass. Sez. 6-5, Ord. 3/5/2018, n. 10483; Sez. 6-5, Ord. n. 4742 del 24/2/2020).

4. La Commissione tributaria regionale pugliese, nell’assumere che nel caso di specie, venendo in rilievo l’anno di imposta 2004, l’applicazione dell’art. 37, comma 24, cit. contrasterebbe con il principio di irretroattività ex art. 11 disp. prel cod. civ., è incorsa, con riferimento all’accertamento relativo all’IRPEF e all’IVA, nella denunciata violazione di legge.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata alla stregua delle considerazioni che precedono e la causa va rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria della Puglia in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

L\'autore

Dottoressa in giurisprudenza e diplomanda master in diritto tributario. Praticante avvocato presso l'Ordine degli Avvocati di Enna