Il rilievo delle impronte digitali non è accertamento tecnico non ripetibile

Il rilievo delle impronte digitali con sostanze chimiche non è assoggettabile alla disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili. Cassazione, Sez. V penale, Sentenza 26 aprile 2021 n. 15623

La Massima

A cura dell’avv. Andrea Savoca

L’attività di esaltazione delle impronte digitali, mediante tecniche anche complesse che utilizzano diverse metodologie e prodotti chimici per la loro individuazione e la successiva evidenziazione e fissazione, costituisce una fase prodromica all’accertamento tecnico-comparativo e rientrante nelle operazioni di prelievo e messa in sicurezza del reperto, sicché non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili.

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

Rilievo delle impronte digitali e garanzia del diritto di difesa

Veniva proposto ricorso per la cassazione della sentenza con la quale, all’esito del doppio grado di giudizio, veniva condannato per il reato di furto in abitazione deducendo la violazione dell’art. 360 c.p.p.

Segnatamente si ivi contestava l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sul presupposto che, in quanto fondata su un accertamento tecnico non ripetibile ovvero il rilievo delle impronte papillari con l’uso di sostanze chimiche, si sarebbero dovute attivare le regole per il necessario contraddittorio previste dalla disposizione richiamata (avvisi, nomina di consulenti, diritto di assistere all’incarico affidato al perito) a garanzia, dunque, del diritto di difesa e ciò in ragione dell’elevato tecnicismo delle metodologie usate per l’esaltazione delle impronte nonché della di loro custodia dal momento in cui vengono raccolte, che impongono un necessario confronto con la difesa.

Il rilievo delle impronte digitali non rientra tra gli accertamenti tecnici da espletarsi in contraddittorio con la difesa

La disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili riguarda l’attività di accertamento tecnico probatorio fatta su cose soggette a modificazione, dovendo intendersi tale caratteristica di modificabilità sia di per sé (causata dal semplice passaggio del tempo), sia per la tipologia di accertamento svolto sul reperto (che implica la distruzione o la consistente dispersione del reperto o la sua irreversibile alterazione qualitativa).  Diversamente, l’attività operativa di prelievo di campioni attraverso operazioni di esaltazione chimico-fisica delle impronte, si risolve in un’attività che si connota, certo, per l’adozione di tecniche elaborate e complesse, ma rimane pur sempre nell’ambito della fase di prelievo e messa in sicurezza del reperto.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l’attività di individuazione delle impronte digitali, mediante un sistema che, attraverso l’uso di un prodotto chimico, evidenzia e fissa le stesse, sebbene possa assumere carattere di irripetibilità, non è coperta dalle garanzie procedimentali previste dall’art. 360 c.p.p. (Sez. 6, n. 10350 di 6/2/2013).

In ragioni di tali premesse la Corte, nel rigettare il ricorso, ha affermato che “l’attività di esaltazione delle impronte digitali, mediante tecniche anche complesse che utilizzano diverse metodologie e prodotti chimici per la loro individuazione e la successiva evidenziazione e fissazione, costituisce una fase prodromica all’accertamento tecnico-comparativo e rientrante nelle operazioni di prelievo e messa in sicurezza del reperto, sicché non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili”.


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Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza, 26 aprile 2021 n. 15623

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RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 18.4.2017, emessa all’esito di rito abbreviato, con cui M.G. è stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 600 di multa per due reati di furto in abitazione, aggravati dalla violenza sulle cose, ritenuti in continuazione tra loro, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche giudicate equivalenti alle aggravanti (è stata considerata sussistente anche la recidiva contestata).
2. Ricorre l’imputato avverso la pronuncia d’appello tramite il difensore, avv. V., deducendo un unico motivo con cui eccepisce violazione di legge in relazione all’art. 360 cod. proc. pen. contestando l’affermazione di responsabilità basata su un accertamento tecnico non ripetibile, il rilievo delle impronte papillari con l’uso di sostanze chimiche, senza aver dato luogo ad attivazione delle regole per il necessario contraddittorio con l’imputato previste ‘dalla disposizione suddetta (avvisi, nomina di consulenti, diritto di assistere all’incarico affidato al perito) e senza garanzie, dunque, per il diritto di difesa.
Il ricorrente evidenzia l’esistenza di un orientamento di legittimità che ritiene tali rilievi non appartengano alla categoria dell’accertamento irripetibile ma configurino meri rilievi tecnici (Sez. 6, n. 10350 del 2013), tuttavia, sottolinea una serie di ragioni sulla base delle quali tale opzione non è condivisibile, muovendo dall’elevato tecnicismo delle scelte di analisi, che impone un confronto con la difesa sulle metodologie usate per l’esaltazione delle impronte, sull’esperienza e preparazione di chi le ha eseguite e sulla custodia dell’impronta dal momento in cui viene raccolta, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., legittimamente senza contraddittorio, sino al momento in cui viene analizzata.
La difesa aveva proposto analoghe eccezioni nei giudizi di merito e, in proposito, ritiene di non aver avuto risposta, in particolare dalla Corte d’Appello, che si è limitata a rispondere sulla natura di mero rilievo tecnico del prelevamento dell’impronta dal luogo di commissione dei delitti (ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen.) e sulla ripetibilità della attività finale di estrazione del rilievo e di comparazione delle impronte, dimenticando che le censure difensive sono riferite alla fase intermedia di esaltazione dell’impronta, precedente all’estrazione e affidata senza contraddittorio, benchè delicatissima, alla sola polizia giudiziaria.
3. Il Sostituto Procuratore Generale L.G. ha chiesto l’inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta del 9.1.2021, sulla base della giurisprudenza di legittimità in tema di individuazione delle impronte dattiloscopiche-papillari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile sia perché manifestamente infondato, sia perché enuncia un motivo di censura che, a ben vedere, si rivela generico.
2. La giurisprudenza di legittimità, come ha correttamente rilevato anche il Procuratore Generale, ha tenuto un atteggiamento interpretativo costante sul tema della natura delle attività di individuazione e rilevamento delle impronte dattiloscopico-papillari, ritenute operazioni urgenti non ripetibili di natura meramente materiale, per tale motivo ricomprese nella disciplina di cui all’art. 354, comma secondo, cod. proc. pen. e non in quella concernente gli accertamenti tecnici non ripetibili di cui agli artt. 359 e 360 cod. proc. pen., i quali presuppongono attività di carattere valutativo su base tecnico-scientifica ed impongono il rispetto del contraddittorio e delle correlate garanzie
difensive (Sez. 2, n. 45751 del 8/9/2016, Siino, Rv. 268165; Sez. 4, n. 38544 del 25/6/2008, Sparer, Rv. 241022).
Più specificamente, l’attività di individuazione delle impronte digitali, mediante un sistema che, attraverso l’uso di un prodotto chimico, evidenzia e fissa le stesse, non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili (Sez. 6, n. 10350 di 6/2/2013, Granella, Rv. 254589); così pure la successiva comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria non richiede il rispetto delle formalità previste dall’art. 360 cod. proc. pen., non necessitando di particolari cognizioni tecnico-scientifiche e risolvendosi in un mero accertamento di dati obiettivi, ai sensi, appunto, dell’art. 354 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 6412 del 24/1/2019, Attardo, Rv. 275196).
Se questi sono gli approdi indiscussi, anche per il ricorrente, sulla questione della natura e della disciplina dell’attività iniziale di individuazione delle impronte e di quella finale di comparazione, il motivo di censura si sofferma sulla fase intermedia del procedimento accertativo -comparativo delle impronte dattiloscopiche, e cioè quella di esaltazione delle impronte, che implicherebbe analisi di elevato tasso di complicazione tecnica e la necessità di confronto con la difesa sulle metodologie usate per l’attività di laboratorio relativa proprio all’esaltazione delle impronte, sull’esperienza e la preparazione di chi le ha eseguite e sulla custodia dell’impronta dal momento in cui viene raccolta, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen., legittimamente senza contraddittorio, sino al momento in cui viene analizzata.
Tale attività di esaltazione delle impronte si atteggerebbe come un vero e proprio accertamento tecnico, che determinerebbe una possibile modifica del reperto o comunque una sua cristallizzazione in una forma piuttosto che in un’altra, di talchè si dovrebbero applicare a detta attività le regole previste dagli artt. 359 e 360 cod. proc. pen. e le conseguenti garanzie difensive e di contraddittorio.
Le ragioni di censura non sono inedite nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, per quanto non frequenti; esse sono state proposte, ad esempio, con analogo contenuto, nel caso esaminato dalla sentenza della Sesta Sezione n. 10350 del 2013 cit.
Orbene, il Collegio condivide le osservazioni che già in quella sede sono state messe in campo al fine di sostenere la manifesta infondatezza degli argomenti difensivi ed intende ulteriormente specificarle: la disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili riguarda la attività di accertamento tecnico probatorio fatta su cose soggette a modificazione, dovendo intendersi tale caratteristica di “modificabilità” sia di per sé (causata dal semplice passaggio del tempo), sia per la tipologia di accertamento svolto sul reperto (che implica la distruzione o la consistente dispersione del reperto o la sua irreversibile alterazione qualitativa).
Diversamente, l’attività operativa di prelievo di campioni, ivi compresa la sua propaggine necessaria quale è, nel caso di specie, l’attività di individuazione dell’oggetto da esaminare, attraverso operazioni di esaltazione chimico-fisica delle impronte, si risolve in un’attività che si connota, certo, per l’adozione di tecniche elaborate e complesse, ma rimane pur sempre nell’ambito della fase di prelievo e messa in sicurezza del reperto, attività quest’ultima che, sebbene possa assumere carattere di irripetibilità, non è coperta dalle garanzie procedimentali previste dall’art. 360 cod. proc. pen., in combinato disposto con il precedente art. 359, per gli accertamenti irripetibili, le quali si riferiscono – appunto – all’accertamento probatorio, all’esame sul reperto, che nel caso di specie è costituito dall’impronta esaltata.
Come è stato anche osservato, la modalità di acquisizione del campione utilizzata per acquisire ed isolare l’impronta vale a rendere ancor più facilmente ripetibile il successivo accertamento, rispetto al quale va valutata la ripetibilità e che consiste nella sua comparazione, quest’ultima pacificamente ripetibile poiché l’impronta, siccome esaltata, conserva nel tempo le proprie caratteristiche e può essere sottoposta agevolmente a nuovi, ripetuti esami.
Deve affermarsi, pertanto, che l’attività di esaltazione delle impronte digitali, mediante tecniche anche complesse che utilizzano diverse metodologie e prodotti chimici per la loro individuazione e la successiva evidenziazione e fissazione, costituisce una fase prodromica all’accertamento tecnico-comparativo e rientrante nelle operazioni di prelievo e messa in sicurezza del reperto, sicchè non è assoggettata alla disciplina prevista per gli accertamenti non ripetibili.
Del resto, anche in materia di prelievo di campioni di polvere da sparo, con “stub” o “tampone”, è pacifico che i prelievi di polvere da sparo, quantunque prodromici all’effettuazione di accertamenti tecnici, non sono tuttavia identificabili con questi ultimi, per cui, pur essendo irripetibili, non richiedono alcuna partecipazione difensiva (Sez. 1, n. 45437 del 30/11/2005, Fummo, Rv. 233345; Sez. 5, n. 9998 del 21/1/2003, Bocchetti, Rv. 226153; Sez. 1, n. 23156 del 9/5/2002, Maisto, Rv. 221621) perché l’attività tecnica cui fanno riferimento gli articoli 359 e 360 cod. proc. pen. è quella, successiva, dell’esame delle particelle prelevate. Ed è per questo esame che si porrà il problema della ripetibilità o meno, laddove il campione venga alterato o distrutto durante l’esecuzione delle analisi.
Ma il ricorrente non ha dedotto un profilo di irripetibilità dell’esame comparativo delle impronte e, dunque, dell’accertamento tecnico garantito dalla disciplina codicistica, bensì soltanto della fase finale del prelievo e dell’isolamento dell’impronta, costituita dalla sua esaltazione.
2.1. Vi è da aggiungere, peraltro, quale profilo di genericità del motivo, che esso non eccepisce ragioni di dubbio quanto ai risultati di esaltazione delle impronte, alla loro certezza ed affidabilità, non avendo criticato specificamente alcun vizio della procedura, né lamentato errori o inesattezze, ma propone una mera questione giuridica, di corretta applicazione in astratto della disciplina del procedimento penale, eccezione che risulta, in ultima analisi, fine a sé stessa.
Tanto più che la Corte d’Appello ha motivato ampiamente sulla perfetta leggibilità del dato indiziario rappresentato dall’impronta dattiloscopica, a riprova della correttezza delle operazioni di sua esaltazione e conservazione; sull’elevato numero di punti di identità, che garantisce della compiuta riuscita dell’attività tecnica di esaltazione; sull’affidabilità del personale di polizia scientifica che ha condotto le operazioni di prelievo, esaltazione e comparazione, definito “altamente specializzato” ed esperto utilizzatore di “validati protocolli operativi”; nonché, infine, sul numero e la significativa tipologia dei diversi reperti che presentavano corrispondenza di identità dattiloscopica con le impronte dell’imputato (due per il furto del 12.11.2011 e cinque per il furto del 2.1.2012).
3. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 9 febbraio 2021

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica