Non è reato coltivare poche piantine di marijuana

Non è reato coltivare una limitata quantità di piantine da cui ricavare un modesto quantitativo di dosi droganti. Cassazione, Sezione VI, Sentenza 12 febbraio 2021 n. 5626.

La Massima

A cura dell’avv. Andrea Savoca

In tema di reati in materia di stupefacenti, non integra il reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 per mancanza di tipicità, la condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali ed uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto. Cassazione, Sezione VI, Sentenza 12 febbraio 2021 n. 5626.

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

Chiamata a pronunciarsi su un ricorso avverso la sentenza con la quale veniva condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r. del 1990 per aver coltivato due piante di marijuana dalle quali erano ricavabili complessivamente 47 dosi droganti – ove si deduceva di contro, violazione di legge, sul presupposto che la coltivazione della cannabis sativa fosse da ritenersi destinata ad un uso personale e per l’effetto non costituente reato – la Suprema Corte, nel ritenerlo fondato, ha richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella recente sentenza n. 12348 del 19/12/2019 secondo cui “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, bastando la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente. Tuttavia, non integra il reato, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto”.

Ebbene, in assenza degli indici di cui sopra, la Corte ha escluso la rilevanza penale della coltivazione di due sole piante di cannabis, ritenuta svolta in forma domestica, apparendo di tutta evidenza la destinazione ad un un uso esclusivamente personale del modesto quantitativo di dosi droganti conseguentemente prodotte.


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Cassazione, Sezione VI, Sentenza 12 febbraio 2021 n. 5626

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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 1895 del 12 marzo 2020, la Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore ha riqualificato ex art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 la condotta di Se. Co. consistita nella coltivazione di due piante di marijuana dalle quali erano ricavabili complessivamente 47 dosi droganti e ne ha escluso la punibilità ravvisandovi un fatto di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen., mentre, per altro verso, lo ha assolto dal reato di detenzione di sostanza stupefacente dei tipi hashish e marijuana perché il fatto non sussiste.
2. Nel ricorso presentato dal difensore di Co. si chiede annullarsi la sentenza, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione perché la coltivazione di piante di cannabis sativa per uso personale non costituisce reato.

Considerato in diritto

Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, bastando la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente. Tuttavia, non integra il reato, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, Rv. 278624).

Nel caso in esame entrambe le sentenze di merito riconoscono che la condotta di Co. si è risolta in una coltivazione domestica destinata all’uso personale del coltivatore avente ad oggetto due sole piante di cannabis con produzione di 47 dosi droganti, un quantitativo modesto (che ha portato sin dal primo grado a qualificare il fatto come di lieve entità ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, e, in secondo grado, anche come di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen.).
Inoltre, nella ricostruzione dei fatto nella sentenza impugnata ricorrono tutti gli indici per l’esclusione della tipicità della coltivazione penalmente rilevante e la Corte di appello la qualifica come “coltivazione domestica destinata all’uso personale”.
Ne deriva, in applicazione del principio di diritto fissato dalla richiamata sentenza delle Sezioni unite di questa Corte, l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, limitatamente alla imputazione ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, con riguardo alla contestata coltivazione di piante da stupefacenti, perché il fatto non sussiste.
Così deciso, il 12/01/2021.

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica