Rapina e non esercizio arbitrario se pretesa e oggetto di tutela non corrispondono

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni e rapina: dolo, corrispondenza tra pretesa ed oggetto di tutela e sostituzione dello strumento di tutela. Cassazione, Sezione II penale, sentenza 05/05/2021 (dep. 08/07/2021) n. 26139

 

La Massima

L’elemento distintivo del delitto di rapina, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, risiede nell’elemento soggettivo, perchè nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sè o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa. Inoltre, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente.

La Nota

L’imputato era creditore di una modica somma di denaro (80 €) concessa in prestito, somma di denaro che non gli veniva restituita. Ragion per cui si recava a casa del debitore, si impossessava di un orologio (dal valore stimato di 2.000 €) riposto sul tavolo e andava via dopo aver usato violenza nei confronti del proprietario del monile.

La Corte di appello confermava la condanna in relazione al reato di rapina di cui all’art. 628 c.p., illustrando e valorizzando la diversità della natura del credito affermato dall’imputato, un’esigua somma di denaro, rispetto al bene sottratto con violenza, così come l’evidente sproporzione tra l’ammontare del credito rispetto al valore dell’orologio sottratto. Tutti aspetti che, ad avviso della Corte, escludevano una possibile correlazione tra azione di spossessamento e asserito diritto e, rendendo al contrario evidente l’ingiustizia del profitto conseguito.

Quindi l’imputato interponeva ricorso per cassazione censurando l’inosservanza di legge e il vizio di motivazione, sostenendo la necessità di procedere alla riqualificazione del fatto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone ex art. 393 c.p.. Invero, la difesa asseriva che l’imputato avesse così agito al solo scopo di recuperare il proprio credito, dovendosi tener conto che la pretesa creditoria vantata verso la persona offesa ed incontestata fosse rivelatrice dell’assenza del dolo di rapina. L’imputato, quindi, sarebbe stato animato solo dalla volontà di esercitare un proprio diritto, determinandosi all’azione violenta dopo la richiesta di restituzione del della somma di denaro. Motivo per cui sarebbe mancata la componente soggettiva del reato contestato in relazione alla quale non rileva la sproporzione tra credito e valore dell’orologio sottratto.

Nel dichiarare inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza dei motivi addotti, la Suprema Corte coglie l’occasione per riaffermare ancora una volta i principi che sottendono il discrimine tra il delitto di cui all’art. 393 c.p. e il delitto di rapina ex art. 628 c.p., ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità e correttamente seguiti dalla corte di merito.

Invero, gli insegnamenti della Cassazione hanno predicato quale elemento distintivo del delitto di rapina, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, l’elemento soggettivo, in quanto nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sè o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nel secondo caso agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa (cfr., Sez. 2, n. 11484 del 14/12/2016 – con cui la Corte ha ritenuto configurare il delitto di rapina nella condotta degli imputati che, vantando un credito per la mancata restituzione di una modesta somma di denaro, avevano inseguito la persona offesa e, nella colluttazione sviluppatasi, le sottraevano il cellulare -; n. 8753 del 1987; n. 5397 del 1989; n. 11591 del 1989; n. 43325 del 2007; n. 23678 del 2015)

In tal senso, è risultato indubbio che la pretesa creditoria avanzata dall’imputato fosse estranea al bene sottratto, il cui valore peraltro eccedeva di gran lunga l’ammontare del credito, ciò refluendo sul dolo che ha sorretto lo spossessamento. Infatti, recentemente le Sezioni Unite (n. 29541 del 16/7/2020) hanno ribadito il principio secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016).


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Cassazione, Sezione II penale, sentenza 05/05/2021 (dep. 08/07/2021) n. 26139 

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Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza in data 25/06/2019, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal GIP del Tribunale di Trapani, in data 19/12/2018, nei confronti di G.F. confermava la condanna in relazione al reato di cui all’art. 628 c.p.. Secondo la ricostruzione del fatto conformemente operata nelle due sentenze di condanna, l’imputato, creditore della persona offesa S.V. della somma di Euro 80 precedentemente data in prestito, dopo essersi recato a casa del predetto S., si impossessava di un orologio che ivi era custodito sopra un tavolo e, dopo aver usato violenza, si dava alla fuga.

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo:

-violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di rapina, dovendosi riqualificare i fatti ai sensi dell’art. 393 c.p., avendo l’imputato agito al solo scopo di recuperare il proprio credito. Invero, secondo il ricorrente la Corte d’appello ha errato a non inquadrare i fatti nell’ipotesi prevista dall’art. 393 c.p., tenuto conto della pretesa creditoria vantata verso la persona offesa, e da questi non contestata, circostanza che rivelava l’assenza del dolo di rapina. Egli era, pertanto, animato solo dalla volontà di esercitare un proprio diritto e si era, peraltro, determinato all’azione violenta solo dopo la richiesta di onorare il debito e la risposta di S.V. di “pazientare ancora qualche giorno”. Manca, dunque, la componente soggettiva del reato contestato in relazione alla quale non rileva la sproporzione tra credito e valore dell’orologio sottratto.

3. Con requisitoria scritta la Procura Generale in sede ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

3.1. Con memoria difensiva la difesa ricorrente ha insistito sui motivi proposti.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè si affida a motivi manifestamente infondati.

1. Giova premettere che la Corte d’appello, conformemente al primo giudice, ha adeguatamente illustrato e valorizzato la diversità della natura del credito affermato dall’imputato (Euro 80) rispetto al bene sottratto con violenza, nonchè l’evidente sproporzione tra l’ammontare del credito (peraltro definito di dubbia azionabilità) rispetto al valore dell’orologio sottratto (stimato in circa Euro 2000 dalla persona offesa, con determinazione che non ha formato oggetto di puntuale confutazione); aspetti tali da escludere la configurabiltà di una possibile correlazione tra azione di spossessamento e asserito diritto e da rendere evidente l’ingiustizia del profitto conseguito.

2. In tale percorso, la Corte territoriale si è conformata agli insegnamenti di questa Corte (cfr., Sez. 2, n. 11484 del 14/12/2016, Rv. 269685 – 01), secondo i quali l’elemento distintivo del delitto di rapina, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, risiede nell’elemento soggettivo, perchè nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sè o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa (in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per il delitto di rapina pronunciata nei confronti -degli imputati, che, vantando un credito riconducibile alla mancata restituzione di una modesta somma di denaro elargita alla persona offesa, l’avevano inseguita e, nel corso della colluttazione successivamente sviluppatasi, le avevano sottratto il cellulare). Massime precedenti conformi: n. 8753 del 1987 rv. 176461 – 01, n. 5397 del 1989 rv. 181018 – 01, n. 11591 del 1989 rv. 181997 – 01, n. 43325 del 2007 rv. 238309 – 01, n. 23678 del 2015 rv. 263840 – 01.

Nella specie, è indubbio che alcuna pretesa creditoria l’imputato potesse vantare sul bene sottratto, il cui valore eccedeva di gran lunga, in ogni caso, l’ammontare del credito e ciò refluisce, con evidenza, sul dolo che ha sorretto l’azione di causa.

2.1. Assai di recente, le SS.UU. di questa Corte hanno condivisibilmente ribadito (cfr. sentenza n. 29541 del 16/7/2020, Rv. 280027 – 02) che, ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015, Angelotti, Rv. 263589; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362). E, come detto, nessun potenziale diritto dell’imputato è mai stato adeguatamente dedotto nè pur minimamente dimostrato. La condivisa giurisprudenza di legittimità, infatti, ha individuato la differenza tra i due reati di rapina e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone nell’elemento soggettivo, rappresentato nel primo caso dalla volontà dell’autore di procurare a sè o ad altri un profitto ingiusto, “nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa” (Sez. 2, Sentenza n. 11484 del 14/12/2016 Ud. (dep. 09/03/2017) Rv. 269685, Sez. 2, n. 34042 del 20/11/2020 n. m., Sez. 2, n. 29007 del 9/10/2020, n. m.).

3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021. Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

L\'autore

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.