Accertamento analitico induttivo di maggiori ricavi non dichiarati: metodo di calcolo. Cass. 19213/17


Cassazione civile, Sezione Tributaria, ordinanza 08/06/2017 – 02/08/2017, n° 19213

Accertamento analitico induttivo (D.P.R. 600/1973) di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale: dai ricavi accertati vanno detratti i ricavi dichiarati. Cassazione ordinanza 19213/2017.


Accertamento analitico-induttivo dei maggiori ricavi non dichiarati: metodo di calcolo

«L’accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale, operata attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico medio ponderato, si effettua: a) applicando detta percentuale sul costo del venduto quale accertato nei confronti dell’impresa; b) sommando l’importo così ottenuto (margine di guadagno) al predetto costo del venduto accertato; c) detraendo dall’importo così ottenuto (ricavi accertati) i ricavi dichiarati dall’impresa o comunque accertati sulla base della sua contabilità».


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Cassazione civile, Sezione Tributaria, ordinanza 08/06/2017 – 02/08/2017, n° 19213

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26461/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

CRR Centro Reatini Ricambi S.r.l., in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 168/04/2009 depositata il 22 settembre 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno 2017 dal Consigliere Emilio Iannello.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due mezzi, nei confronti della C.R.R., Centro Reatini Ricambi, S.r.l. in liquidazione (che non svolge difese nella presente sede), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha parzialmente accolto l’appello da essa proposto ritenendo legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, sulla base degli esiti di verifica fiscale, aveva determinato a carico della contribuente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), a fini Irpeg, Iva e Irap, per l’anno d’imposta 2003, ricavi non dichiarati, ma ne ha ridotto l’ammontare (da Euro 463.508,69 a Euro 198.000,00), identificandolo nell’importo (arrotondato per difetto) risultante dall’applicazione sull’accertato costo del venduto (pari a Euro 1.241.748,64) della percentuale media ponderata di ricarico del 16%;

che secondo i giudici d’appello, infatti, “ove l’applicazione della norma suddetta si colleghi all’accertamento di rivendite di merci o prestazioni di servizi ulteriori rispetto a quelle contabilizzate, la rettifica non può andare oltre la differenza fra il prezzo di vendita e quello di acquisto, ovvero tra i corrispettivi ricavati e i costi necessari alla loro produzione, atteso che il relativo importo segna il limite massimo del profitto configurabile in tali operazioni”;

considerato che con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dell’art. 75 (ora 109) t.u.i.r., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. quantificato i maggiori ricavi della contribuente nella indicata misura di Euro 198.000,00 utilizzando l’importo – tra l’altro arrotondato in diminuzione – scaturito dall’applicazione della accertata percentuale di ricarico medio ponderato del 16% al pure accertato costo del venduto di Euro 1.241.748,00: importo invece costituente null’altro che il margine di guadagno conseguito dall’impresa in base alla ricostruita percentuale di ricarico;

che, con il secondo motivo, la ricorrente deduce in subordine, sulla base dei medesimi rilievi, insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

ritenuto che entrambe le censure, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono fondate;

che, invero, dalla motivazione sopra trascritta, emerge evidente, da un lato, l’erronea considerazione dei dati fattuali pure accertati o comunque incontestatamente emergenti dagli atti e, dall’altro, conseguentemente, anche l’error in iudicando in cui è incorsa la Commissione tributaria regionale per aver identificato l’oggetto della rettifica cui è legittimato l’Ufficio in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, non nei maggiori ricavi emersi dalla verifica fiscale – pari alla differenza tra quelli induttivamente determinati dai verificatori in complessivi Euro 1.440.427,68 (applicando, sul costo del venduto accertato in Euro 1.241.748,64, la percentuale di ricarico media ponderata del 16%) e quelli invece dichiarati dalla contribuente (pari a Euro 976.919,73) – ma nel solo guadagno netto costituito dal ricarico (nella predetta percentuale del 16%) applicato sul costo del venduto accertato, così in pratica azzerando l’effetto evasivo d’imposta comunque derivante (specie a fini Irap e Iva) dalla dichiarazione di ricavi inferiori a quelli effettivamente accertati, non risultando del resto nemmeno contestato che, dall’accertamento dei maggiori ricavi così correttamente condotto dall’Ufficio, sia poi scaturito un erroneo calcolo delle imposte recuperate discendente dalla mancata considerazione di componenti negativi incidenti sulle diverse basi imponibili considerate;

che la sentenza va pertanto cassata e la causa rinviata al giudice a quo il quale, nel procedere a nuovo esame, si atterrà al seguente principio di diritto: “l’accertamento analitico – induttivo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale, operata attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico medio ponderato, si effettua: a) applicando detta percentuale sul costo del venduto quale accertato nei confronti dell’impresa; b) sommando l’importo così ottenuto (margine di guadagno) al predetto costo del venduto accertato; c) detraendo dall’importo così ottenuto (ricavi accertati) i ricavi dichiarati dall’impresa o comunque accertati sulla base della sua contabilità”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017.

L\'autore

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.