Revoca affidamento in prova legittima per chi concorre o tollera attività illecite

La revoca dell’affidamento in prova è legittima in caso di concorso o tolleranza dell’altrui attività illecite, anche ex tunc. Cassazione, Sez. I penale, Sentenza del 16/06/2020, n. 20270.

La Massima

a cura dell’avv. Andrea Diamante e dell’avv. Andrea Savoca

In tema di affidamento in prova ai servizi sociali, la circostanza che l’affidato abbia concorso o comunque tollerato attività illecite (nel caso, del figlio), successivamente all’inizio della misura alternativa, ne segna il totale fallimento, non potendosi ragionevolmente ritenere che la misura stessa abbia in alcun modo contribuito al raggiungimento di un grado, almeno parziale, di reinserimento sociale.

Con riferimento alla decorrenza della revoca della misura alternativa alla detenzione, ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il giudice deve espressamente motivare, prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato ad essa luogo, ma anche la condotta complessivamente tenuta dal condannato durante il periodo di prova trascorso e la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico

La Nota

a cura dell’avv. Andrea Savoca

Affidamento in prova: concorso morale nell’attività illecita altrui

Il tribunale di Sorveglianza revocava con effetto ex tunc la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale nei confornti del beneficiario, sul presupposto che lo stesso avesse moralmente concorso nelle attività di spaccio di sostanza stupefacente, materialmente poste in essere dal figlio, o fosse stato quanto meno connivente rispetto ad esse. Invero quest’ultimo, a seguito di un controllo effettuato dagli agenti di pubblica sicurezza all’interno di un esercizio commerciale, cui era giunto in automobile in compagnia del genitore, era stato trovato in possesso di cocaina, ceduta poco prima dagli occupanti del mezzo a terze persone affiancatesi a bordo di altra autovettura.

Il condannato ricorreva per cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai presupposti ed alla decorrenza del provvedimento revocatorio, assumendo che non sussistevano prove fattuali circa la connivenza né tantomeno la partecipazione dello stesso alle attività illecite del figlio, ritenendo altresì illegittima la revoca disposta con effetto retroattivo.

Affidamento in prova: legittima la revoca per chi concorre o tollera attività illecite

Preliminarmente, afferma ancora una volta la Corte che la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è dalla legge rapportata alla pura dellae semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di merito, ritenga che le predette violazioni costituiscano in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione della prova. Ne consegue che il relativo giudizio è rimesso alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica ed esauriente.

Nel caso di specie, è incontorverso che l’affidato, nella più benevola delle ipotesi, abbia prestato un consenso tacito all’azione colpevole del figlio, che risultava avvenuta sotto i suoi occhi e quindi, se non addirittura agevolata, quanto meno tollerata. Pertanto, richiamati i superiori principi, l’ordinanza impugnata risultava priva di censure, laddove il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto interrotto il percorso di risocializzazione ed anche violato il rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato e gli organi del trattamento, avendo altresì ritenuto l’ulteriore prosecuzione di questo, in regime alternativo, in contraddizione con le finalità di recupero sociale della pena.

Affidamento in prova: revoca retroattiva legittima (a seconda dei casi)

In relazione poi alla decorrenza della revoca, è ormai costante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il giudice debba espressamente motivare, prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato ad essa luogo, ma anche la condotta complessivamente tenuta dal condannato durante il periodo di prova trascorso e la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico. Il Tribunale di sorveglianza, pertanto, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, può disporre la revoca, con effetto retroattivo (o parzialmente tale), quando il comportamento del condannato riveli, da data antecedente alla decisione, l’inesistente adesione al processo rieducativo, purché motivi adeguatamente al riguardo.

Pertanto, la circostanza che l’affidato abbia concorso o comunque tollerato l’attività illecita del figlio, successivamente all’inizio della misura alternativa, ne ha segnato il totale fallimento, non potendosi ragionevolmente ritenere che la misura stessa avesse in alcun modo contribuito al raggiungimento di un grado, almeno parziale, di reinserimento sociale.

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Cassazione, Sez. I, Sentenza del 16/06/2020, n. 20270

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Brescia revocava, con effetto ex tunc, la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, in corso dal 12 settembre 2019 nei confronti di Abdelkrim Daimallah, ritenendo che egli avesse moralmente concorso nelle attività di spaccio di sostanza stupefacente, materialmente poste in essere dal figlio Ibrahim, o fosse stato quanto meno connivente rispetto ad esse.
Ibrahim Daimallah, controllato dai Carabinieri all’interno di un esercizio commerciale, era stato trovato in possesso di detta sostanza (cocaina); nell’esercizio era giunto in automobile, in compagnia del genitore. Un informatore aveva assistito, poco prima, al passaggio di un involucro tra gli occupanti del mezzo e terze persone, affiancatesi a bordo di altra vettura. Altro stupefacente, e materiale de confezionamento, erano stati recuperati, all’esito della successiva perquisizione, nell’abitazione familiare (rispettivamente, nella camera da letto di Ibrahim e in un cassetto della cucina).
2. Il condannato ricorre per cassazione, con il ministero del suo difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine ai presupposti della revoca e in ordine alla sua decorrenza.
Il ricorrente assume che l’ipotesi di una partecipazione diretta dell’affidato, anche solo ideale, alle attività illecite del figlio sarebbe priva di base fattuale, alla luce delle risultanze documentali di causa, mentre l’ipotesi alternativa astrattamente formulata, ossia la mera connivenza, non giustificherebbe, alla luce della condotta complessiva dell’affidato, la misura di rigore.
A maggior ragione, indebita e immotivata risulterebbe la revoca disposta con carattere retroattivo.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Come da questa Corte ripetutamente affermato (Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019, Castelluzzo, Rv. 275239; Sez. 1, n. 27713 del 06/06/2013, Guerrieri, Rv. 256367; Sez. 1, n. 2566 del 07/05/1998, Lupoli, Rv. 210789), la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale non è dalla legge rapportata alla pura e semplice violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura stessa, ma all’ipotesi che il giudice, nel suo
insindacabile apprezzamento di merito, ritenga che le predette violazioni costituiscano in concreto un fatto incompatibile con la prosecuzione della prova; il relativo giudizio è rimesso alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare l’uso del potere conferitogli, con motivazione logica ed esauriente.
L’ordinanza impugnata, pure alla luce dei rilievi formulati dalla difesa, è incensurabile, lì ove essa, in base al descritto svolgimento dei fatti, in sé incontroverso, ha ritenuto che l’affidato, nella più benevola delle ipotesi, avesse prestato un consenso tacito all’azione colpevole del figlio, che risulta avvenuta sotto i suoi occhi e quindi, se non addirittura agevolata, quanto meno tollerata.
Non irragionevolmente, pertanto, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto interrotto il percorso di risocializzazione ed anche violato il rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato e gli organi del trattamento, e ha ritenuto l’ulteriore prosecuzione di quest’ultimo, in regime alternativo, in contraddizione con le finalità di recupero sociale della pena.

3. In ordine, poi, alla decorrenza della revoca, costante è l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 19398 del 14/12/2016, dep. 2017, Masella; Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015, dep. 2016, Perra, Rv. 265859-01; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, Attianese, Rv. 259474-01), secondo cui, ai fini della determinazione del residuo periodo di pena da espiare, il giudice debba espressamente motivare, prendendo in esame non solo la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato ad essa luogo, ma. anche la condotta complessivamente tenuta dal condannato durante il periodo di prova trascorso e la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico.
Il Tribunale di sorveglianza, pertanto, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, potrà disporre la revoca, con effetto retroattivo (o parzialmente tale), quando il comportamento del condannato riveli, da data antecedente la decisione, l’inesistente adesione al processo rieducativo, purché motivi adeguatamente al riguardo (v. Sez. 1, n. 34565 del 12/04/2007, Frau).
Il provvedimento impugnato fa corretta applicazione dei principi enunciati, in quanto, in relazione all’affidamento in prova di causa, argomenta in modo convincente come la condotta posta in essere, che segue immediatamente l’inizio della misura alternativa, ne segni il totale fallimento, non potendosi ragionevolmente ritenere che la misura stessa abbia in alcun modo contribuito al raggiungimento di un grado, almeno parziale, di reinserimento sociale.

4. Alla reiezione del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. Pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 16/06/2020

L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica