Detenzione ai fini di spaccio se la scorta è eccessiva e irragionevole la trasferta

Se la scorta di droga è eccessiva ed irragionevole la trasferta, si configura il reato di detenzione  di sostanza stupefacente ai fini di spaccio. Cassazione, Sezione III, Sentenza 13 febbraio 2020 n. 18283

La Massima

A cura dell’avv. Andrea Savoca

L’ingente quantitativo di droga detenuto, la mancanza di mezzi economici, nonché l’irragionevole asserita trasferta fatta per acquistarla, rilevano quali elementi idonei e sufficienti per ritenere integrato il reato di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio di cui all’art. 73 co. 5,  D.p.r. n. 309 del 1990.

La Nota

A cura dell’avv. Andrea Savoca

Detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio: rileva solo il dato ponderale?

La Corte di appello, ribaltando l’esito del giudizio di primo grado, condannava l’imputato per il reato di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio di cui all’art. 73, co. 5, D.p.r. 309/1990, non avendo ritenuto che la sostanza stupefacente detenuta fosse destinata ad un uso esclusivamente personale.

Ricorreva per la cassazione del provvedimento deducendo la violazione di norme processuali ed il vizio di motivazione, sostenendo l’illogicità della decisione poiché il giudicante aveva valorizzato a carico del prevenuto solo il dato ponderale dello stupefacente, senza valorizzare l’insussistenza di ulteriori circostanze da cui si evincesse che la detenzione fosse finalizzata alla cessione a terzi.

Detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio: oltre il dato quantitativo rileva l’illogicità della trasferta fatta per acquistarla.

La Corte, nel ritenere la sentenza impugnata esente da vizi logico-giuridici, ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché manifestamente infondato. Sostiene, infatti, che il giudice di seconde cure habbia correttamente desunto dal complesso degli elementi probatori acquisiti, e non solo dunque dal dato ponderale dello stupefacente, la sussumibilità della condotta dell’imputato al reato contestato.

In particolare, la Corte di appello ha valorizzato sia la quantità della sostanza stupefacente (nel caso di specie, 111 dosi singole di cocaina), sia la circostanza che l’imputato risultasse disoccupato e non fossero emersi elementi giustificanti la fonte di reddito per l’approvvigionamento, non potendo contare su appoggi economici esterni.

Quanto poi al dato quantitativo, si evidenziava che le dosi fossero in grado di coprire un consumo protratto per diverse settimane e che pertanto tale evenienza fosse di per sé anomala, giacché l’imputato viveva nella zona del Milanese ove era facile reperire lo stupefacente senza necessità di doverne fare una scorta. Da ultimo, rilevava l’inverosimiglianza nonché l’illogicità di recarsi in un altro paese distante oltre cento chilometri dal domicilio per acquistare lo stupefacente, quando appunto era più agevole reperirlo nelle zone a lui limitrofe ad un prezzo uguale se non addirittura inferiore.

In conclusione, la Corte ha affermato la bontà della decisione di seconde cure che ha ritenuto l’imputato responsabile del reato di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio ex art. 73, co. 5, D.p.r. 309/1990, la cui motivazione appariva logica e razionale, tenuto conto della disponibilità dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente oltre che della illogicità della asserita lunga trasferta fatta per acquistarla, da ciò desumendo che l’imputato si fosse ivi recato per cedere a terzi la sostanza, esclusa la detenzione per farne un uso esclusivamente personale.


L\'autore

Avvocato del Foro di Enna. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna nel 2019, in cui ha curato l’assegnazione delle tracce e le correzioni individuali e collettive. Membro del coordinamento di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica