Personale sanitario e obbligo vaccinale Covid 19: libertà e responsabilità nel rispetto della solidarietà

Legittima la vaccinazione obbligatoria del personale sanitario: tutela il personale e gli utenti della sanità pubblica e privata. Consiglio di Stato sentenza n. 7045 del 20/10/2021

a cura dell’avv. Andrea Diamante

Il Consiglio di Stato si è espresso sulla legittimità dell’obbligo vaccinale selettivo degli operatori sanitari, prendendo le mosse sull’appello degli esercenti professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars- CoV-2 prevista dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, convertito con modificazioni dalla  L. n. 76 del 2021.

Sicurezza dei vaccini a lungo periodo e vaccinazione obbligatoria per il personale sanitario

Gli appellanti contestavano gli atti con cui le Aziende Sanitarie friulane hanno inteso dare applicazione, nei loro confronti, dell’obbligo vaccinale c.d. selettivo previsto dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario.

L’art. 4 D.L. 44/2021, nel comma 1, dispone che, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da Sars-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457, della L. n. 178 del 2020 (il Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale) e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 43 del 2006, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, individuata quale «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati». L’esenziona dall’obbligo è prevista soltanto in caso di accertato pericolo per la salute attestate dal medico di medicina generale.

Gli appellanti sostengono che il breve tempo di cui si sono potute giovare le case farmaceutiche per gli studi, la predisposizione e la sperimentazione delle soluzioni vaccinali per prevenire il virus Sars-CoV-2 non ha consentito di raggiungere quelle condizioni di sicurezza e di efficacia dei vaccini, che devono precedere e assistere ogni prestazione sanitaria imposta ai sensi dell’art. 32, comma 2, della Costituzione. Ad avviso degli appellanti, le stesse case farmaceutiche produttrici dei vaccini avrebbero ammesso l’ignoranza sulle potenzialità dei vaccini quanto alla capacità di impedire la trasmissione del virus, la contrazione della malattia e la durata dell’efficacia preventiva, ammettendo le non note conseguenze a lungo termine derivanti dalla somministrazione, come emergerebbe anche dalle note informative che i pazienti sarebbero costretti ad accettare mediante la sottoscrizione del modulo di consenso informato.

Secondo gli appellanti anche le Autorità preposte alla valutazione e all’approvazione dei farmaci, in sede europea e nazionale, non sarebbero ancora in grado di stabilire quali siano l’effettiva efficacia e sicurezza dei vaccini medesimi, tanto che l’immissione in commercio è stata autorizzata dall’EMA mediante il rilascio di autorizzazioni condizionate che, adottate in esito a procedere ben più snelle rispetto a quelle ordinarie, impongono di continuare il monitoraggio e gli studi in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini medesimi, con necessità di essere rinnovate periodicamente in base ai risultati che emergeranno dagli studi in fieri.

Nonostante ciò, il legislatore ha previsto un singolare obbligo vaccinale in danno degli operatori sanitari, costretti a sottoporsi ad uno dei quattro vaccini autorizzati in Italia senza avere la certezza della loro efficacia e sicurezza. In altre parole, l’argomento degli appellanti si fonda sull’assunto secondo cui, in assenza di una certezza assoluta offerta dalla scienza circa la sicurezza dei vaccini anche nel lungo periodo, il legislatore dovrebbe lasciare sempre e comunque l’individuo libero di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario.

Legittima la vaccinazione obbligatoria del personale sanitario

Nel riconoscere la legittimità della previsione normativa dell’obbligo selettivo riferito al personale sanitario, il Consiglio di Stato ha dato all’argomento degli appellanti un ben netto significato, nel senso che il legislatore in assenza di una assoluta certezza scientifica sulla sicurezza a lungo periodo dei vaccini avrebbe dovuto «lasciare sempre e comunque l’individuo libero di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario e, dunque, di ammalarsi e contagiare gli altri». Un ordito argomentativo che  ad avviso della Terza Sezione «prova troppo ed è errato, già sul piano epistemologico, perché, così ragionando, l’utilizzo obbligato di una nuova terapia, in una fase emergenziale che vede il crescere esponenziale di contagi e morti, dovrebbe attendere irragionevolmente un tempo lunghissimo e, potenzialmente, indefinito per tutte le possibili sperimentazioni cliniche necessarie a scongiurare il rischio, anche remoto (o immaginabile e persino immaginario) di tutti i possibili eventi avversi, tempo nel quale, intanto, la malattia continuerebbe incontrastata a mietere vittime senza alcuna possibilità di una cura che, seppure sulla base di dati non ancora completi, ha mostrato molti più benefici che rischi per la collettività». Una tesi, quella propugnata dagli appellanti, che porterebbe ad «una conseguenza paradossale che, nel rivendicare la sicurezza ad ogni costo, e con ogni mezzo, della cura imposta dal legislatore a beneficio di tutti, ne negherebbe però in radice ogni possibilità, paralizzando l’intervento benefico, per non dire salvifico, della legge o dell’amministrazione sanitaria contro il contagio di moltissime persone».

All’uopo, il Giudice amministrativo cita la Corte costituzionale che, a proposito dell’obbligatorietà del vaccino per l’epatite B, ha già spiegato che «la prescrizione indeterminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone da assoggettare a tutte le vaccinazioni oggi obbligatorie» renderebbe «di fatto impossibile o estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità dei corrispondenti trattamenti sanitari» (Corte cost., 23 giugno 1994, n. 258).

Come spiega la Terza Sezione, in un ordinamento democratico la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili, ma tutela dei più vulnerabili, concetto ben rappresentato dalla Corte costituzionale, che ha posto la solidarietà come «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione» (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75).

Nessun recesso, pertanto, della persona a mezzo rispetto ad un fine, ad oggetto di sperimentazione, posto che la Costituzione vede nella persona sempre un fine e un valore in sé, un soggetto e giammai un oggetto di cura. Di talché in questo modo «si tutelano… tutti e ciascuno, anzitutto e soprattutto le (persone) più vulnerabili ed esposte al rischio di malattia grave e di morte, da un concreto male, nella sua spaventosa e collettiva dinamica di contagio diffuso e letale, in nome dell’altrettanto fondamentale principio di solidarietà, che pure sta a fondamento della nostra Costituzione (art. 2), la quale riconosce libertà, ma nel contempo richiede responsabilità all’individuo».

Vaccinazione obbligatoria del personale sanitario: bilanciamento tra autodeterminazione e tutela della salute pubblica

A guisa di ciò «la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza».

Di tutto quanto il Consiglio di Stato rinviene traccia non solo nelle premesse del D.L. n. 44 del 2021, che infatti evidenzia «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell’epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, con riferimento soprattutto alle categorie più fragili, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche acquisite per fronteggiare l’epidemia da COVID-19 e degli impegni assunti, anche in sede internazionale, in termini di profilassi e di copertura vaccinale», ma nello stesso testo normativo dell’art. 4, quando nel comma 4 richiama espressamente il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», precisando nel comma 6 che «l’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2».

Sarebbe un paradosso, ammette il Giudice amministrativo, se pazienti gravemente malati o anziani, ricoverati in strutture ospedaliere o in quelle residenziali socio-assistenziali o socio-sanitarie (al cui personale lavorativo anche esterno il recente art. 2, comma 1, del D.L. n. 122 del 10 settembre 2021 ha esteso l’obbligo vaccinale, inserendo nel D.L. n. 44 del 2021 l’art. 4-bis) contraessero il virus, con effetti letali, proprio nella struttura deputata alla loro cura e per causa del personale deputato alla loro cura, refrattario alla vaccinazione. Si verificherebbe un grave tradimento di quella «relazione di cura e fiducia tra paziente e medico» e, più in generale, tra paziente e gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria. Tale relazione di cura e di fiducia, secondo l’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017, è il fulcro della prestazione sanitaria, da cui deriva un essenziale obbligo di protezione di sè e dell’altro.

Da tale presupposto, il Consiglio di Stato riconosce un «innegabile spazio di discrezionalità nel bilanciamento tra i valori in gioco, la libera autodeterminazione del singolo, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro, una discrezionalità che deve essere senza dubbio usata in modo ragionevole e proporzionato» un bilanciamento che nel nostro ordinamento è soggetto «a livello normativo al sindacato di legittimità del giudice delle leggi e a livello amministrativo a quello del giudice amministrativo». Nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale (principio personalista) e quello della tutela della salute pubblica (principio solidarista), compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, «non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV-2 per la c.d. esitazione vaccinale».

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L\'autore

Avvocato già iscritto presso l’Ordine degli Avvocati di Enna, funzionario presso pubblica amministrazione. Formatore presso la Scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Enna dal 2017 al 2019, in cui ha dapprima curato il piano formativo e dopo anche coordinato l’attivatà dei formatori. Fondatore e direttore di Iter Iuris – Portale di informazione giuridica.